“Scusi, che ora è?”. “Sono le tre, quindici minuti e ventotto secondi”. Con questo siparietto della richiesta dell’ora vengono introdotti due fuoriclasse del cinema italiano. Marcello Mastroiannie Massimo Troisi, avrebbero potuto andare avanti a oltranza, senza annoiare mai. Ad ogni nuova modulazione del tormentone una sfumatura diversa, incantando, ipnotizzando, calamitando l’attenzione dello spettatore pronto a qualsiasi variazione di tono. La collaborazione artistica tra i due grandi attori era cominciata proprio grazie a Ettore Scola, che li aveva diretti in Splendor (1989), amara presa di coscienza della fine di un’epoca, quella della sala cinematografica, un tempo sede di una ritualità comunitaria, purtroppo fatalmente terminata.
Che ora è è un film del 1989 diretto da Ettore Scola, che ha come protagonisti Massimo Troisi e Marcello Mastroianni.
In Che ora è?, Mastroianni e Troisi sono padre e figlio. Il loro è un rapporto complicato. Si sono frequentati poco in passato e non si conoscono davvero. Infatti, l’arrivo improvviso del genitore a Civitavecchia, dove Michele sta svolgendo il servizio militare, costituisce l’occasione per capire se esiste ancora una possibilità di dialogo. I ruoli nel film sembrano invertiti. Il padre è un uomo rampante, godereccio, attratto dal consumo e dai piaceri (anche frivoli) della vita. Il figlio è una persona riservata, contenuta, che ama frequentare la biblioteca del paese, oltre che un nebbioso bar a ridosso del porto. Un luogo sicuro per i pescatori che eroicamente resistono alla colonizzazione di una degenerazione antropologica drammaticamente alle porte.
Che ora è, la recensione
Ciò che interessava a Scola era registrare gli effetti di un periodo storico sulla dimensione intima di un rapporto difficile. Non poche, infatti, sono le allusioni alla storia del paese, alla corruzione dilagante (vedi Tangentopoli), alla diffusione di uno stile di vita incentrato su un aumento esponenziale del tempo dedicato al lavoro. Tutto in una forsennata ricerca di un benessere che appariva come la panacea di tutti i mali. Michele, rappresentante della nuova generazione, si oppone a questo sfrenato ‘discorso capitalista’. Non è interessato al successo, al denaro, all’accumulo massivo di compagne, vuole solo essere libero di fermarsi, di interrompere quel movimento frenetico che lo ridurrebbe al ruolo di marionetta. Eppure, al di là delle insormontabili differenze che li separano, c’è un atavico legame di sangue che unisce i due protagonisti, un bene che supera tutte le incomprensioni. Ciononostante, Scola non risolve il rapporto con un colpo di spugna, si guarda bene dalla soluzione facile. Piuttosto, si sofferma sulla problematicità, forse insuperabile, di questa relazione, riuscendo con un abile lavoro di scrittura a cogliere le tante sfumature che la caratterizzano.
Conclusioni
Il film ha superato con scioltezza l’esame del tempo e, a rivederlo, provoca molte riflessioni sullo stato attuale della nostra condizione. Chi siamo? Cosa vogliamo? Dove stiamo andando? Tante sono le domande poste in questa preziosa opera di Scola che ancora oggi rimangono senza una definitiva risposta. A dimostrazione del fatto che era state ben formulate. Un film necessario, dunque, entrato di diritto nella storia del nostro cinema.
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