A margine della festa de Il Fatto Quotidiano, tenutasi a Roma nel quartiere Testaccio, abbiamo incontrato il regista Michele Diomà, che ci ha gentilmente rilasciato un’intervista.
– Michele da cosa è nata la necessità di realizzare un film di satira politica come Sweet Democracy?
Sicuramente dalla mia indole di bambino monello capace sempre di mettersi nei guai.
– Con chi ti saresti messo nei guai facendo questo film?
Con chi desidera che il cinema sia esclusivamente il prodotto di una lobby politico-industriale e pertanto controllabile dall’alto.
-Pensi che il cinema italiano sia sotto censura?
No. Penso che il cinema italiano statale sia la censura di se stesso.
-Potresti spiegarti in maniera più approfondita?
Il cinema italiano attualmente è finanziato dal denaro pubblico, tranne che in rarissimi casi, un fattore che in origine era stato pensato per essere un sostegno ai produttori indipendenti e che si è poi tramutato in una grande macchina di controllo delle idee. Ecco perché oggi il cinema made in Italy non parla mai, o quasi, della realtà, indagando su certe responsabilità. Non basta fare film, detti; di impegno civile, se poi, tale impegno civile, si limita ad illustrare in superficie fatti che già conosciamo. Basti pensare al caso di Oliver Stone, il suo film su J.F.Kennedy ha proposto una nuova lettura dell’omicidio del Presidente americano.
– Tu che film pensi di aver fatto?
Il nostro Sweet Democracy è un film in cui proviamo a raccontare in maniera simbolica e satirica i vertici del potere politico. Non credo di aver smascherato qualcuno con questo film, forse però siamo riusciti a mostrare una fotografia veritiera dell’Italia attuale, ancora molto corrotta in tutti i settori, fondata su una gerontocrazia atavica, moderatamente democristiana per DNA e profondamente incapace di combattere.
-Combattere chi?
Chi non vuole che l’Italia sia un paese fondato sul diritto dei cittadini di essere consapevoli. In questo hanno giocato un ruolo centrale tutti i mass media ed anche il cinema, spesso mentendo.
-Veniamo al tuo film. Come hai convinto Dario Fo a partecipare al progetto?
Non è stato merito mio. Io ci ho messo soltanto un po’ di caparbietà. Le persone grandi, sono sempre generose e disponibili. Io, un filmaker scalcagnato di 32 anni e lui un attore e scrittore premio Nobel, nonostante tutto ha accettato. Ho ritrovato in Dario Fo la stessa umiltà riscontrata in Francesco Rosi, che incontrai nel 2014, gli proposi di partecipare al mio documentario Born in the U.S.E. e lui accettò. Un regalo della vita.
-Presentaci il resto della della crew di Sweet Democracy.
Oltre al produttore Donald Ranvaud, che è stato candidato agli Oscar per City of God, film di enorme successo mondiale, c’è nel cast Renato Scarpa, un mito per chi come me è cresciuto imparando a memoria le battute dei film con Massimo Troisi, Ricomicio da tre ed Il Postino. Inoltre nel gruppo di lavoro che ha reso possibile la realizzazione di Sweet Democracy, c’è il documentarista Raffaele Manco, anche videomaker del programma Report di RAI TRE diretto da Milena Gabanelli, gli attori Antonello Pascale, che vanta esperienze teatrali con Luca Ronconi, Riccardo Castagnari, artista di grandissimo livello e creatore dello spettacolo teatrale di culto dedicato a Marlene Dietrich, che gira il mondo da quasi 20 anni e poi Ottavia Orticello, proveniente dall’Accademia d’arte Drammatica Silvio d’Amico ed ex allieva di Rossella Falk, Nadia Kibout, bravissima attrice e regista francese e tanti altri eccellenti collaboratori.
-Perché hai scelto Taranto come prima tappa del tour di Sweet Democracy?
Come piccolo risarcimento ad una delle aree geografiche più inquinate d’Europa. Mi sembrava doveroso, dato che il nostro film è dedicato ai limiti della libertà di stampa. Dico questo, perché ritengo una buona parte del sistema di informazione italiano, colpevole ed omertoso. L’evento si terrà il 16 settembre e sarà possibile realizzarlo grazie alla sensibilità del critico cinematografico Guido Giuliano e del Presidente della Pro Loco di Pulsano Francesco Vergallo.
-Infine ti chiedo, come immagini il cinema tra 10 anni?
Il cinema è un’arte per il popolo, per gli umili, per chi necessita di sognare. Non è casuale che Federico Fellini, ritrovasse nel circo la forma di spettacolo più similare al cinematografo. Forse tra 10 anni, se i registi folli come me, vinceranno la propria battaglia, il cinema sarà ancora più espressione del pensiero di un singolo cittadino. Altrimenti in caso di sconfitta, continueremo a vederci propinati prodotti finanziati dalle banche, da una fazione politica, da chi accetta qualsiasi regola del business pur di arrivare al successo, insomma in definitiva la situazione attuale.
Paola Livek