Sinossi: Erin Gilbert è una ricercatrice universitaria che vede la sua credibilità accademica messa in crisi dalle numerose tracce rimaste online di un libro sul paranormale scritto molti anni prima insieme a una compagna di corso. Sfumata dunque ogni possibilità di ottenere una cattedra, Erin metterà su un bizzarro team di acchiappafantasmi proprio insieme alla sua vecchia amica Abby, all’ingegnere sui generis Jillian e alla sanguigna impiegata per combattere un’incredibile minaccia che sta per abbattersi sulla città di New York.
Recensione: Partiamo da due certezze piuttosto solide. La prima è che, piaccia o meno, gli anni ottanta sono tornati prepotentemente di moda. È un trend già in atto da diverso tempo, ad esempio nella musica, di cui il recente tripudio citazionistico di una serie TV come Stranger Things non è che la punta dell’iceberg.
La seconda invece è come, proprio in relazione a quel decennio, il Ghostbusters di Ivan Reitman sia finito con il diventare, nel corso degli anni, molto più di un semplice cult movie. Pluricitato fenomeno di costume dal coefficiente iconico altissimo (pari forse giusto a Ritorno al futuro), il film sugli acchiappafantasmi rappresenta ormai un pezzetto della formazione di chiunque, dal 1984 in poi, sia rimasto letteralmente rapito da quella (allora) inedita commistione di comicità demenziale e sci-fi. Non si spiega altrimenti il nutrito stuolo di haters che il “povero” Paul Feig si è trovato a dover fronteggiare immediatamente dopo la notizia che sarebbe stato lui al timone del remake di quella mitica commedia. Gli stessi haters che hanno funestato l’intera lavorazione del film a colpi di dislike e che, nei giorni successivi alla prima americana, sono arrivati a coprire di insulti sui social le attrici protagoniste. Il ginepraio in cui si è andato a infilare l’autore di Spy e Le amiche della sposa è, per molti versi, simile a quello in cui deve essersi trovato J.J. Abrams quando ha iniziato a lavorare al rebranding della saga di Star Wars. E, proprio come The Force Awakens, anche questo Ghostbusters 2.0 rappresenta il meglio che si potesse fare con il materiale a disposizione, cercando di non osare troppo in termini di innovazione per non scontentare i fedelissimi e, allo stesso tempo, di non restare troppo legati a un immaginario cinematografico che, con buona pace dei nostalgici, negli ultimi trent’anni è inesorabilmente mutato.
A dispetto dei giudizi dei fan più ortodossi – che troveranno comunque modo di demolirlo – Feig merita innanzitutto un plauso per come è riuscito a far coesistere nello stesso film il proprio personalissimo stile e un profondo rispetto per lo spirito dell’opera originale. Il gioco dei rimandi infatti potrebbe andare avanti all’infinito, tra la passerella dei protagonisti dell’epoca, qui impegnati in alcuni gustosissimi ruoli cameo (quello di Bill Murray, in particolare, è esilarante) e una componente tecnologica rimasta adorabilmente invariata, Ectomobile e zaini protonici inclusi. La stessa pietra dello scandalo, ovvero la scelta di declinare i ruoli principali al femminile, va in realtà ad inserirsi in maniera assai fedele nel solco narrativo tracciato da Reitman attraverso la giustapposizione di caratteri tra loro antitetici, che porta a individuare quasi subito a quale personaggio originario corrisponda il ruolo interpretato, ad esempio, da Melissa McCarthy o da Kristen Wiig.
Ciò che fa la differenza – e non potrebbe essere altrimenti – è invece la cifra umoristica adottata, con il passaggio dalla sfrenata comicità naive (e oggettivamente un po’ datata) di Reitman alla costruzione di gag dal taglio più moderno e quindi molto più incentrate sulla parola e sul ‘politicamente scorretto’. Ecco dunque che l’azione perde leggermente di peso specifico rispetto a un umorismo verbale che è invece onnipresente nell’arco della narrazione. Ma, del resto, Paul Feig appartiene alla stessa corrente autoriale di Judd Apatow, per cui il continuo ricorso alla battuta che, di fatto, ragiona su ciò che sta accadendo amplificandone il senso, non solo non stupisce affatto, ma rappresenta l’intuizione più radicale dell’autore nell’intero processo di riscrittura.
Evidentemente incapace di fronteggiare, sul versante più propriamente action, un universo linguistico ormai perfettamente codificato come quello della Marvel e dei blockbuster di ultima generazione, Ghostbusters decide di puntare tutto sul fronte dell’ironia, col risultato di apparire più come una costosissima commedia che non come un fantasy dai risvolti ironici. Ma, immediatamente prima che le dure leggi del box office facciano il loro corso, è importante segnalare come questo nuovo Ghostbusters svolga il suo compito in modo perfetto, divertendo e solleticando il senso di amarcord che è alla base dell’intero progetto. Con una menzione speciale per Chris Hemsworth, alle prese con uno dei ruoli più autoironici e dissacranti del proprio status visti dai tempi del Tom Cruise di Tropic Thunder.
Fabio Giusti