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I due Blob rivivono in dvd

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio

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Con le fattezze di Steve McQueen, il giovane Steve Andrews sta trascorrendo una serata romantica in automobile insieme a Jane Martin alias Aneta Corseaut, quando un meteorite si schianta nelle vicinanze liberando dal suo interno una sostanza gelatinosa vivente e capace di aumentare di dimensioni ogni volta che divora un essere umano.

Tra i primissimi lungometraggi cinematografici interpretati dal non ancora divo della celluloide made in USA la cui carriera terminò con Il cacciatore di taglie (1980) di Buzz Kulik, Blob – Fluido mortale (1958) di Irvin S. Yeaworth Jr. (a quanto pare affiancato al timone di regia dal produttore associato Russell S. Doughten Jr., non accreditato) rivive su supporto dvd grazie a Sinister Film, che ne rende disponibile un’edizione comprensiva di trailer, galleria fotografica e presentazione a cura del trash director Luigi Cozzi.

Operazione nata come b-movie, ma trasformatasi in breve tempo in un piccolo classico della fantascienza a tinte horror, apre attraverso una simpatica sigla composta da un ancora sconosciuto Burt Bacharach e pone al proprio centro un’innovativa creatura aliena informe che, realizzata tramite l’utilizzo di una mistura di silicone e vernice rosso fragola, non vuole essere soltanto lo specchio dell’America consumatrice e dagli appetiti insaziabili di allora, ma, a causa soprattutto del suo colore, intende probabilmente rappresentare il dilagante “nemico comunista” (all’epoca si era in piena Guerra Fredda).

Innovativa perché prima a non possedere elementi umani (ricordiamo che era stata preceduta da Dracula, Frankenstein e gli altri Universal monsters), apparendo tanto raccapricciante quanto divertente quando impegnata ad attorcigliarsi sulla mano di un povero vecchio, per poi passare allo sterminio, tra gli altri, di un meccanico alle prese con la riparazione di un’auto e di un dottore.

Fino alla mitica sequenza in cui attacca un cinema pieno di gente, poco prima che si venga a scoprire il suo punto debole e l’unica maniera per poterla annientare.

Il fluido che uccide

Stessa identica maniera ripresa anche nel rifacimento Il fluido che uccide (1988), in realtà concepito soltanto sedici anni dopo il sequel Beware! The blob (1972), inedito in Italia e diretto dal Larry Hagman noto per essere stato J.R. nel popolare telefilm Dallas.

Rifacimento che, edito per il mercato dell’home video digitale da CG Home Video con il trailer originale quale extra, si costruisce su una sceneggiatura a firma del regista Chuck Russell – alla sua seconda fatica dopo Nightmare 3 – I guerrieri del sogno (1987) – e del Frank Darabont poi dietro la macchina da presa per i kinghiani Le ali della libertà (1994), Il miglio verde (1999) e The mist (2007).

Sceneggiatura bene o male fedele a quella del capostipite e che, ponendo nei ruoli di protagonisti un ribelle e macho Kevin Dillon (fratello del più noto Matt) fornito di motocicletta e la Shawnee Smith che i fan dell’horror conoscono soprattutto per aver concesso anima e corpo alla Amanda della saga Saw, sfrutta soprattutto gli eccellenti effetti speciali con il fine di generare la sequela di sequenze spettacolari volte al facile intrattenimento da brivido giovanilistico tipicamente anni Ottanta (non a caso, abbiamo anche una ironica frecciatina in aria di parodia rivolta alla allora gettonatissima serie Venerdì 13).

Sequenze spazianti da quella in cui una diciottenne Erika Eleniak finisce vittima della minaccia extraterrestre in automobile al momento che vede la Candy Clark di American graffiti (1973) ritrovarsi prigioniera all’interno di una cabina telefonica; senza contare il tizio risucchiato per intero nel buco del lavandino.

Sicuramente una delle migliori e maggiormente memorabili della riuscitissima circa ora e mezza di visione, che, forse anche superiore e più coinvolgente rispetto alla pellicola da cui prende le mosse, sembra aggiornarne, inoltre, la metafora inclusa tra i fotogrammi.

Perché, complici la presenza di uno strano sacerdote e la rivelazione del fatto che, stavolta, il mostro sia in realtà il risultato di un esperimento batteriologico, è facile intuire come il già citato “pericolo rosso” muti in questo caso in paura nei confronti del virus dell’AIDS… diffusosi, appunto, nel decennio reaganiano.

Francesco Lomuscio

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