«Resnais sceglie un romanzo di Christian Gailly, “L’incident”, per individuare la sua storia e i suoi protagonisti, due anziani esponenti della borghesia francese…»
Resnais sceglie un romanzo di Christian Gailly, L’incident, per individuare la sua storia e i suoi protagonisti, due anziani esponenti della borghesia francese, che butta in una mischia amorosa, dalla quale dovrebbe uscirne una classica storia di amour fou, innestata sul bisogno di essere amati, ancor prima che di amare, e che vorrebbe legare il cinema d’amore e l’amore per il cinema. In realtà ne esce fuori solo un incomprensibile intreccio in cui la borghesia mette in scena nient’altro che la propria isteria pre-suicidiaria (e in questo Resnais restituisce forse involontariamente il vero senso del film).
Il regista non sente neppure l’esigenza minima di far giustificare i propri personaggi nella ricerca d’amore, nonostante siano ormai dei vecchi che hanno consumato la propria vita e, forse, anche le proprie possibilità. I protagonisti sono esponenti non solo della propria classe sociale, ma anche della gerontocrazia occidentale che ai giovani ha deciso di rubare non solo il lavoro, la ricchezza e il futuro, ma, disinvoltamente, anche il primato sull’amore. Non fanno tenerezza le rughe profonde e le deformità del corpo dei due anziani amanti, perché sono portate senza ironia, senza percezione della limitazione che esse sono e, dunque, senza la consapevolezza della necessità di superarla, se il loro spirito sente ancora la necessità d’amore. L’anziana protagonista per i suoi spostamenti non trova niente di più confortevole che usare un’ultra-sportiva auto gialla, ovviamente francese. Il film fa uso del product placement, e si sarebbe indotti a credere che tra i products ci sia una casa automobilistica francese, e desta sospetto anche una battuta a danno di un’altra casa automobilistica connazionale concorrente. I rumori netti e pieni degli sportelli e quelli morbidi e rotondi dei motori delle auto lasciano intendere che i nostri protagonisti viaggiano solo su auto appena comperate. Gli scorci urbani sono tutte cartoline di linde e graziose cittadine che sembrano create per fare da sfondo a improbabili e leziosi amori, piuttosto che per farci vivere le persone vere. La presenza del tema del volo con aerei d’antan non solleva affatto la poetica, nè l’immaginario del film ma, semmai, contribuisce a renderne inesplicabili l’intreccio e il finale. O meglio, i finali, forse uno per ogni livello di lettura, quello sul cinema e quello sulla vita (forse anche un accenno alla reincarnazione?).
Neppure il ricordo del bel cinema può assolvere chi decide di utilizzare le cinéma per diventare il cantore del comico declino di una classe sociale e di un mondo incapace di guardarsi allo specchio, per vedere le proprie brutture, e che preferisce perire negli sproporzionati agi da bassissimo impero, simboli di un decrepito potere che, piuttosto che cedere elegantemente la mano, o tentare un’improbabile autoriforma, attende inconsapevole la risalita dei barbari che faranno tabula rasa di tanta decadente e offensiva vacuità. Nostalgia per gli indolenti acrostici di Verlaine che avvistò la fine del nostro mondo e l’arrivo dei barbari già da molto tempo, incredulità al ricordo della Notte e nebbia con cui Resnais ci ha avvolto lo sguardo, ma tanto tempo fa.