Per chi ama sollazzarsi con sonorità dirette e toste sulla scia del post-grunge anni ’90, la musica degli Underdocks non passa inascoltata. Ed attenzione a non scottarsi, perché bolle come olio in padella. Si perché la band torinese, fondata nel 2011 dal chitarrista Carlo Fusco e dal batterista Gigi Buccomino, ci propone un lavoro dettagliato e molto interessante: Re-burnt, per Areasonica Records, 2016.
Re-burnt è un disco d’impatto, potente, energico, adatto a soddisfare le esigenze degli amatori del genere alternative, rock, grunge sia in Italia che oltralpe. Del resto, gli Underdocks sono già seguiti da un pubblico diversificato ed internazionale, anche grazie alle numerose esibizioni live avute in diversi contest (El Barrio, Hiroshima, Mc Ryan’s, Caffé Liber, Limo In The City, Emergenza). L’album è la nuova edizione del precedente Burnt (2015), uscito prima dell’inserimento nella band della voce di Gianluca Petrillo, e del bassista Andrea Novello. Il missaggio ed il mastering sono di Christian Coccia.
Il disco comincia bello incazzato ed urlante con il brano Sick of you (“My veins are pumping, my feet are stepped up to the floor. My hands are ready and so I am ready to play. Just listen”).
Si alza così subito il sipario su un palco musicale che fa della grinta e dello sfogo i suoi tratti più marcati. Prosegue poi sulla linea di basso profonda quanto basta di Begging God, passando per i brani Skin e Burnt, anch’essi notevoli, che mantengono la stessa continuità ritmica e stilistica delle precedenti, quasi ad esserne una naturale conseguenza.
Quando arriva, On your way ti prende subito. Dà il meritato spazio alla voce di Petrillo, altrove un po’ meno in risalto per via della strumentazione. I ritmi sono regolari ma decisi, con un bell’equilibrio che viene a crearsi tra voce, chitarra, basso e batteria che sembrano quasi alternarsi nel fare da protagoniste sotto i riflettori, senza mai lasciare le altre da sole nell’ombra. Travolgente, ricorda a tratti Ten dei Pearl Jam.
La cavalcata degli Underdocks continua poi costante sulle tracce Fine tune, Back out e All the stories of my mind, quest’ultima con versi interessanti ed un ritornello che vuole imporsi sulle strofe, forse per farsi ricordare meglio.
L’intero album è caratterizzato da una certa uniformità sonora. Tutti i brani sembrano far parte di un ingranaggio curato e ben ingrassato, che incastra bene tra la fine di una traccia e l’inizio della successiva. La carica di energia dei brani finali è poi la stessa di quelli di apertura.
Una pentola a pressione che continua a far vapore anche a fine cottura. Re-burnt, insomma, è roba che scotta.
Francesco Simone (Francs)
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