Sinossi: Nel 1982, Kalinka, la figlia quattordicenne di André Bamberski, muore mentre è in vacanza in Germania con sua madre e con il patrigno. André è convinto che non si sia trattato di un incidente e inizia a indagare. Gli esiti di un’autopsia sommaria sembrano confermare i suoi sospetti e lo spingono ad accusare di omicidio il patrigno di Kalinka, il dottor Dieter Krombach. Non riuscendo però a farlo incriminare in Germania, André cerca di far aprire un procedimento giudiziario in Francia e dedicherà il resto della sua vita nella speranza di ottenere giustizia per sua figlia. Il film è tratto da una storia vera.
Recensione: Andrè Bamberski è un uomo ostinato, e quando scopre che la figlia è misteriosamente deceduta, senza che siano sopraggiunte notizie verosimili sulle cause di una così imprevedibile scomparsa, comincia la sua tenace lotta per ripristinare quella verità che pareva, in quest’occasione, latitare totalmente. Dopo aver appreso di essere stato tradito dalla moglie, che aveva inaugurato una stabile relazione extraconiugale con il medico Krombach (il Sebastian Kock protagonista de Le vite degli altri, film premiato con l’Oscar), tenta di ricucire il rapporto, ma deve cedere di fronte alla persistenza di un legame evidentemente solido.
Nel bel film di Vincent Garenq non si fa cenno a un sentimento di gelosia o rivalsa del protagonista nei confronti del rivale, sebbene, probabilmente, la voglia di vendetta abbia sicuramente costituito una riserva di combustibile per la crociata infinita che Bamberski intraprese nei confronti dello scaltro medico, il quale, incalzato da un pedinamento senza soste, che pure produsse risultati sul piano giudiziario, laddove emersero comportamenti illeciti assai gravi, preferì riparare in Germania, forte della protezione fornita da uno stato assai restio a concedere estradizioni alle nazioni richiedenti.
La bontà di In nome di mia figlia risiede nella capacità di rendere sempre avvincente un percorso lungo e sfibrante che avrebbe potuto sulla carta annoiare, giacché la partita a scacchi tra i due avversari è millimetrica, in riferimento ai tempi di una giustizia che, estesa su uno scenario internazionale, rallenta ancor di più i suoi tempi dilatati. Eppure, soprattutto grazie all’ottima interpretazione del protagonista, un intenso e credibile Daniel Auteuil, si segue con immarcescibile attenzione lo sviluppo degli eventi, considerando anche il lento svelarsi della viscida personalità di Krombach, che poté, nonostante gli evidenti indizi a suo carico, contare sempre sulla solidarietà dell’ex compagna (l’ex moglie di Bamberski), che fino all’ultimo osteggiò il percorso del marito, chiudendo gli occhi sulla drammaticità di un evento che la riguardava così da vicino. Solo all’ultimo, a fronte di una sentenza che metteva nero su bianco i fatti, fu costretta, con grande soddisfazione dello spettatore, ad ammettere le responsabilità del medico e a dar ragione al tenace ex marito, il quale, pur di riportare in Francia Krombach per farlo processare arrivò finanche a sequestrarlo, esponendosi anch’esso al giudizio di una corte che lo condannò ad un anno con la sospensione della pena.
Il caso Bamberski è stato di grande popolarità in Francia, e Garenq dimostra per l’ennesima volta notevoli capacità nell’affrontare e mettere in scena situazioni giuridiche complesse (vedi i precedenti L’Enquete e Presume Coupable), che necessitano di un enorme lavoro preliminare di documentazione e di una ferma gestione del materiale così alacremente accumulato. Consigliamo, dunque, la visione di In nome di mia figlia, per venire a conoscenza di un fatto realmente accaduto che tanto ha scosso gli animi, per gustare le belle interpretazioni dei protagonisti, tra cui ricordiamo anche Marie-Josée Croze, Christelle Cornil e Lila-Rose Gilberti, e per fare esperienza, infine, di un cinema di inchiesta di cui non si dovrebbe mai fare a meno.
Luca Biscontini