Nata in Liguria, ma trasferitasi giovanissima prima a Milano e successivamente a Roma, vincitrice di diversi riconoscimenti – tra cui un David di Donatello nel 1981 per la sua interpretazione in Passione d’amore di Ettore Scola – Valeria D’Obici non ha mai tradito un certo aplomb, un po’ come quel cinema inglese che tanto ammira: «in Inghilterra fanno film bellissimi, dove personaggi come me avrebbero avuto un destino migliore», facendo riferimento proprio a Fosca, una delle figure più interessanti della letteratura italiana di metà Ottocento (opera dello “scapigliato” Iginio Ugo Tarchetti), alla quale l’attrice ha dato corpo e anima, imbruttendosi apposta per l’occasione. E confermando il suo orgoglio nell’aver creato un bellissimo “mostro”, ora consacrato all’immaginario collettivo cinefilo.
Con una punta di malinconia, «fin da piccola avevo già le mie nostalgie», Valeria D’Obici ci ha raccontato le tappe della sua carriera artistica, tra ricordi indelebili e figure importanti con le quali ha avuto occasione di condividere set e palcoscenici. Senza tralasciare, però, qualche piccolo dispiacere: «non sono una persona che si attacca al telefono per cercare lavoro, non è nella mia natura e forse tutto ciò mi ha nuociuto», conclude, «ma non ho grossi rimpianti».
Valeria, come ha inizio la sua formazione?
Ho cominciato come allieva alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Una volta terminati gli studi, con altri colleghi – ma soprattutto con Andrée Ruth Shammah, perché senza la sua capacità non avremmo dato origine a niente – abbiamo fondato una cooperativa e aperto il Salone Pier Lombardo, che a tutt’oggi è il Teatro Franco Parenti. Con questo gruppo sono rimasta sei anni, dopodiché mi sono trasferita a Roma, dove ho preso parte a Piccole donne: un musical!, un’esperienza molto divertente che fu un successone. Avremmo potuto continuare per una decina d’anni.
Mentre al cinema ha debuttato con La polizia ha le mani legate di Luciano Ercoli, nel ruolo della terrorista Falena…
Esatto! Faccio una fine atroce. Ricordo che le mie sorelle andarono alla proiezione e quando videro la scena in cui salto in aria… ci rimasero male (ride, ndr).
Come avvenne l’incontro con Ercoli?
Non ricordo precisamente. Forse ero sotto un’agenzia che mi contattò per propormi il ruolo.
Poi, qualche anno dopo, fece Sbamm! con Ezio Greggio…
(ride, ndr) Siccome era sempre il periodo in cui recitavo in Piccole donne: un musical!, Greggio venne a teatro a vedere lo spettacolo e poco dopo mi propose il ruolo. Era un film di totale nonsense, ma mi sono divertita nel farlo.
Ci racconti come fu selezionata per il ruolo di Fosca in Passione d’amore…
La mia agenzia mi mandò a fare un provino, che si svolse a Cinecittà. Eravamo tante candidate, ma ero sicura di aver fatto un bella prova. Poi, quando mi chiamarono per dirmi che la parte era mia, fui felicissima, chiaramente. A quell’epoca ero ancora “vergine” per quanto riguardava il cinema, pochi avevamo visto Sbamm! e per due anni divenni la più brutta d’Italia! Perché i più mi videro in questo film, dove mi avevano applicato naso, denti e ossa finte, mi rasarono i capelli… Però ne sono stata ben felice, anche se a quei tempi non sapevo di dover fare, in parallelo, una campagna per dimostrare che non ero come Fosca (ride, ndr).
Fosca, in effetti, rimanda un po’ a una figura vampiresca…
Decisamente. A me piaceva moltissimo, ma ero molto ingenua dal punto di vista della pubblicità e non avevo pensato di farmi vedere come ero realmente, credevo di mancare di rispetto all’operazione. Di conseguenza, per due anni, tutti si avvicinavano timidamente per vedere i miei tratti. Anche a Cannes (Passione d’amore venne presentato in concorso durante l’edizione del 1981, ndr) le persone, molto educatamente, mi spiavano, mi scrutavano…
Era diventata oggetto di studio…
Esatto (ride, ndr). Durante le pause sul set c’erano spesso battute sul mio aspetto, ma è stata una bellissima esperienza. Se ne fanno poche così, purtroppo.
Com’è stato il rapporto con Ettore Scola?
Ottimo. Purtroppo non l’ho portato avanti dal punto di vista dell’amicizia, nel senso che ero molto pudica sul lato delle relazioni al di fuori del set. Ma ogni volta che ci si incontrava era sempre bellissimo. Avrei potuto sfruttare di più la cosa, cioè avrei potuto apprendere maggiormente da lui, ma è andata bene anche così.
Invece il rapporto con Laura Antonelli e Bernard Giraudeau?
Con la Antonelli ci siamo incontrate poco. La sera non veniva mai a cena con tutta la troupe, mangiava una mela e andava in albergo a dormire, ma sul set non c’è mai stata nessun tipo di incomprensione o rivalità: un rapporto perfetto. La stessa cosa con Giraudeau, siamo diventati amici e qualche volta ci siamo visti a Parigi. I’m easy! (ride, ndr). Sono un tipo che va d’accordo con tutti.
Sempre a proposito di Passione d’amore, un particolare salta all’udito: la voce gliel’ha “prestata” Emanuela Rossi…
Sì, mi hanno doppiata solo quella volta e ancora ne soffro. Scola voleva la cadenza torinese, che a me veniva solo in modo caricaturale, per questo motivo hanno scelto il doppiaggio. Non ero abbastanza esperta nell’impuntarmi e ho lasciato che succedesse.
Non trova che la voce di Rossi, forse, sia un po’ distante dal personaggio di Fosca?
Sono d’accordo. Infatti, secondo me, andava meglio la mia (ride, ndr). Ché poi, alla fine, non è che la Rossi – seppur bravissima – abbia fatto tutta questa cadenza torinese. In effetti, la voce non è così accoppiata esteticamente al personaggio.
È vero che Lory Del Santo le disse: «Come avrei voluto fare il tuo ruolo in Passione d’amore!»?
È successo a una serata vicino Roma, non ricordo se lo disse a me personalmente o se lo disse al gruppo di persone con le quali eravamo a tavola. Però sì, disse questa cosa.
Dopo Scola ci fu Peter Del Monte con Piso pisello, un film particolare che pochi hanno visto…
Peccato, perché nel suo genere è molto carino. Del Monte è un regista interessante e molto bravo, ma siccome vuole fare soltanto le sue cose, in Italia è rimasto un po’ in disparte. All’estero ha un seguito maggiore.
Nel 1984 prese parte a Uno scandalo perbene, ultimo lavoro di Pasquale Festa Campanile. Che ricordo ha di lui?
Era una figura molto simpatica. Come regista era colto e molto preparato dal punto di vista cinematografico, infatti è anche grazie a lui che ricevetti la mia terza nomination ai David di Donatello. Sul set facevamo dei progetti da poter realizzare in futuro, anche con Giuliana De Sio. Poi non se n’è fatto più nulla.
Nella seconda metà degli anni Ottanta ha recitato in diverse commedie popolari: Yuppies, Mia moglie è una bestia, Anni 90, film totalmente in antitesi rispetto ai precedenti. Come mai questa scelta?
In realtà ho iniziato con ruoli comici, mentre studiavo ancora alla Scuola del Piccolo Teatro. La svolta drammatica è arrivata con Scola. Quando mi hanno proposto la parte in Yuppies ho accettato perché mi divertiva molto e, effettivamente, mi sono divertita a interpretare Virginia la segretaria. Pensa che la scena in cui il mio personaggio vuole buttarsi dalla finestra l’abbiamo girata in due giorni. Il primo giorno mi sono messa sul davanzale, convinta che non ci volesse nulla poi, quando mi sono trovata fuori, ho avuto un blocco. Il secondo giorno hanno chiamato la controfigura. A tutt’oggi molti mi riconoscono per quel ruolo. Anche ragazzi di vent’anni, che mi dicono: «No! È lei!». E mi sono divertita molto anche con Massimo Boldi, un personaggio fuori da ogni schema possibile.
Non ha rimpianti nell’aver preso parte a questi film?
No, su Yuppies no. Sugli altri due, insomma…
Se potesse tornare indietro rifarebbe quei ruoli?
Sinceramente, non lo so… Forse perché il cinema italiano va a periodi. Era un momento in cui venivano realizzati quei film e io ero ancora la bruttona di turno… Per cui, forse, non li rifarei. In quegli anni non è che ci fosse molta scelta. Se fossi andata in Francia, probabilmente, avrei fatto altre cose. Lì non influiva il fatto che avessi interpretato un mostro (in Passione d’amore, ndr). Invece in Italia, per un po’ di tempo, ha condizionato molto questa cosa. Purtroppo è così.
Però, dopo questa parentesi, ha lavorato con Liliana Cavani, Pupi Avati, Gabriele Muccino…
Tutti e tre sono bravissimi nel riuscire a lavorare con gli attori. Con Muccino ho fatto solo un piccolo ruolo, con la Cavani mi sono trovata benissimo e Avati è una benedizione, riesce a far recitare anche i sassi. Per cui, i film che ho fatto con loro sono stati un premio, una goduria, un puro piacere. Spesso i registi prendono solo l’immagine dell’attore, senza pensare al fatto che un interprete può tirar fuori tante sfumature. E questi tre sono quel tipo di cineasti che, invece, ci riescono.
Che ricordo ha di Nico D’Alessandria?
Aveva una profondità artistica indiscutibile, ma era completamente fuori da tutti i mondi possibili. E mi dispiace per questo.
Al di là di Passione d’amore, qual è il film che la rappresenta di più?
Il mio film preferito, che si avvicinava più a quello che avrei voluto fare, è 45° parallelo di Attilio Concari. L’hanno visto in pochissimi, ma vinse il premio De Sica alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1986 ed ebbi una menzione speciale per la mia interpretazione.
A proposito di recitazione, ha un’attrice che preferisce?
Valeria Bruni Tedeschi. Molti dicono faccia sempre lo stesso ruolo, ma mi piace molto.
Attualmente, con quale regista le piacerebbe lavorare?
In Italia con Paolo Virzì, all’estero con registi francesi e inglesi. In Inghilterra fanno dei film meravigliosi, dove personaggi come me avrebbero avuto un destino migliore.
Invece con registi del passato?
La mia tristezza è di non aver conosciuto Vittorio De Sica, purtroppo.
In compenso ha lavorato con Eduardo De Filippo, Luigi Comencini, Dino Risi…
A Eduardo occorrevano giovani attrici da piazzare in Natale in casa Cupiello. Era il 1975 e aveva già il pacemaker, accettai subito per paura che se ne andasse da un momento all’altro (ride, ndr). Poi, invece, è andato avanti per altrettanti anni. Con Risi girai …e la vita continua, primo film a puntate per la televisione e con Comencini Cuore, che rifeci una seconda volta sotto la regia di Maurizio Zaccaro. Tutte bellissime esperienze.
Il film che avrebbe voluto interpretare?
La scelta di Sophie. In realtà ce ne sono tanti, ma questo mi colpì particolarmente.
Qual è stata la sua ultima esperienza sul palcoscenico?
Buonanotte mamma con Gaia De Laurentiis, durante la stagione 2006-2007. Uno spettacolo al quale tengo tantissimo. Avevo visto il film e quando ho saputo che era un testo teatrale (di Marsha Norman, ndr) vincitore del Pulitzer, ho cercato in tutti i modi di portarlo in scena.
E adesso?
Vivo la pace dei sensi (ride, ndr). Vorrei trovare qualche testo interessante, me lo dicono tutti… Ma sono un po’ pigra (ride, ndr).
Una sua opinione sul panorama teatrale attuale?
Oggi fanno operazioni dove tutto si svolge attorno a un attore o un’attrice presi della televisione. Non si riesce più a costruire una produzione solida. Ad esempio, con Buonanotte mamma: il primo anno ho dovuto produrlo io, mi affiancava un’altra attrice, l’ho fatto vedere a possibili interessati e l’anno seguente ho ricevuto i finanziamenti per portarlo in tournée con la De Laurentiis. Ma è troppo faticoso ripetere un processo del genere ogni volta che si vuole realizzare uno spettacolo.
Citando una frase di Fosca: «So riconoscere l’infelicità, ne ho una certa esperienza», quali sono i bilanci della sua vita professionale?
Inizialmente ho apprezzato poco i primi anni al Teatro Franco Parenti. Poi mi sono ricreduta, perché c’era tanta ricerca dal punto di vista dei testi e Parenti è stato un grande maestro, anche a livello umano. Aspetto importante, perché difficilmente si trova umanità nel nostro mestiere. Sono soddisfatta dai riconoscimenti e dagli apprezzamenti ricevuti. Non sono totalmente appagata dal punto di vista dei ruoli, mi sarebbe piaciuto interpretare anche altro, però non sono mai stata una che voleva essere al centro dell’attenzione, non è nella mia indole e forse tutto ciò mi ha nuociuto. Ma sono serena.
Francesco Foschini