“Tu hai ammesso che il crimine commesso contro il popolo ebraico nell’ultima guerra è il più grande crimine della storia, ed hai ammesso di avervi partecipato. Ma tu hai detto di non aver agito per bassi motivi, di non aver mai avuto tendenze omicide, di non aver mai odiato gli ebrei, e tuttavia hai sostenuto che non potevi agire altrimenti e che non ti senti colpevole. […..] Ma il senso del tuo discorso è che dove tutti o quasi tutti sono colpevoli, nessuno lo è. Questa è in verità un’idea molto comune, ma noi non siamo disposti ad accettarla. [….] Tu stesso hai affermato che solo in potenza i cittadini di uno stato che aveva eretto i crimini più inauditi a sua principale finalità politica erano tutti ugualmente colpevoli; non in realtà. [….] anche supponendo che soltanto la sfortuna ti abbia trasformato in volontario strumento dello sterminio, resta il fatto che tu hai eseguito e perciò attivamente appoggiato una politica di sterminio.[…] E come tu hai appoggiato e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo pianeta con il popolo ebraico [….], noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano, desideri coabitare con te. Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato.”
Queste sono le parole che secondo Hannah Arendt avrebbe dovuto pronunciare la corte di Gerusalemme nei confronti di Adolf Eichmann, criminale nazista, che durante la seconda guerra mondiale fu responsabile dei trasporti degli ebrei nei campi di sterminio. Invece la corte, che pure condannò a morte Eichmann, si basò sul principio che il suddetto non fosse solo un ingranaggio minore della macchina di morte, ma una “rotella” principale del meccanismo. Insomma, ciò che Harendt contestò fu che i giudici non riuscirono a misurarsi con l’eccezionalità del crimine che dovevano valutare, ricorrendo a categorie inadeguate come quella della responsabilità soggettiva, ovvero dell’intenzionalità, rifacendosi anche alle sentenze del processo di Norimberga. Innanzitutto va ricordato che Eichmann venne sequestrato dai servizi segreti israeliani, fu rapito, e portato d’innanzi la corte d’Israele; questo fu un punto criticato da Arendt che riteneva più opportuno il giudizio di una corte internazionale. E poi ciò che forse fece più scandalo del suo famoso libro, fu proprio il concetto di “banalità del male”, attraverso cui Harendt tentò di spiegare che coloro, compreso Eichmann, che si macchiarono dei tremendi delitti del nazismo non erano persone malvagie, demoniache, ma “terribilmente normali”. Era proprio il doversi confrontare con questa scandalosa normalità ciò che rese antiquate le consuete categorie giuridiche applicate nelle normali procedure.
Premessa, questa, doverosa, per introdurre il buon film di Paul Andrews William, sceneggiato da Simon Block, in cui, oltre ad essere messe in scena le drammatiche testimonianze dirette di coloro che vissero le mostruosità dei campi di concentramento, si segnala la dimensione mediatico-spettacolare che il processo ad Adolf Eichmann – considerato il principale artefice della ‘soluzione finale’ nei confronti degli ebrei – assunse, con tutte le conseguenze che patirono quei soggetti, prima fra tutti il produttore, Milton Fruchtman, e il regista americano (anch’esso ebreo), Leo Hurwitz, coinvolti nella realizzazione del grande evento. Ci fu una preparazione meticolosa, anche per ottenere il consenso alle riprese televisive da parte dei giudici, i quali temevano che la presenza di telecamere potesse turbare l’andamento del processo; problema prontamente risolto dagli addetti, che costruirono delle finte pareti dietro cui nascondere ogni apparecchio, senza per questo rinunciare a una buona resa visiva. Una volta che il dibattimento ebbe inizio, Hurwitz, a seguito delle tante accuse (più di 15 capi d’imputazione) mosse all’ex gerarca nazista, e soprattutto dei tragici resoconti delle numerose vittime sfilate in udienza, sperava che Eichmann crollasse, fosse anche solo sul piano della mimica corporea, e per tale motivo insisteva molto, a livello registico, sui primi piani, incalzandolo con uno sguardo entomologico che, comunque, non sortì l’effetto desiderato. Eichmann rigettò tutte le accuse che gli vennero mosse, e quando gli si chiese cosa pensasse, al di là della responsabilità personale, della macchina della morte nazista, rispose di non sentirsi in obbligo di riferire i propri sentimenti. Insomma, il grande criminale risultò, come segnalò Arendt, un grigio burocrate, il quale trattò alla stessa stregua di qualsiasi altro affare la gestione e l’organizzazione della più grande tragedia della Storia. Disarmanti e annichilenti furono poi le immagini che vennero proiettate durante il processo e che Eichmann fu costretto a visionare, non tradendo la minima emozione, tant’è che Hurwitz, a quel punto, avvertì questa impassibilità dell’imputato come una sconfitta personale, laddove aveva prestato la propria opera per giungere a una presa di coscienza dell’ex gerarca, il quale, invece, continuava a sentirsi completamente estraneo a fatti, nella misura in cui, com’era ormai consuetudine in processi di questa natura, affermò a più riprese di aver solo eseguito degli ordini a cui non poteva sottrarsi. Interessante, inoltre, è notare come, già all’epoca, siamo nel 1961, l’attenzione del pubblico planetario fosse assai labile, infatti la notizia del primo uomo nello spazio e quella della delicata situazione di Cuba distolsero non poco l’interesse dal grande processo, che comunque, vista la sua durata e i temi salienti, alla fine ottenne una massiccia audience, giacché i nastri registrati giorno per giorni furono diffusi dai telegiornali di tutto il mondo.
The Eichmann show ha il merito di sbilanciare la prospettiva della visione sul versante della fruizione, anzi ciò che costituisce lo specifico del film è proprio l’aver cercato di calibrare (nell’ottica di uno show televisivo ante litteram) il punto di vista, affinché il dramma patito dalle vittime – che mai poterono prima d’allora essere così attentamente ascoltate – emergesse in tutta la sua inaccettabilità, provocando incontenibili reazioni da parte degli ascoltatori, sconvolti da racconti che superavano la soglia umana della sopportabilità (da segnalare in tal senso, la testimonianza di un signore, assoldato nel Sonderkommando, costretto a mandare nelle camere a gas moglie e i figli e a seppellirne, successivamente, i cadaveri). Fino ad allora, le mostruosità riferite dai superstiti spesso non venivano credute, in quanto non si riteneva possibile che una tale follia potesse essersi realizzata, data anche l’antieconomicità complessiva dell’operazione. Il film, interpretato da Martin Freeman e Anthony LaPaglia, ha richiesto un fitto lavoro di documentazione, laddove la ricostruzione della vicenda era possibile solo a partire dal cospicuo materiale televisivo, utilizzato e intelligentemente amalgamato con le immagini girate, dando corpo a una preziosa testimonianza che fornisce ulteriore luce su un passaggio storico drammatico.
Film più che mai necessario, dunque, The Eichmann Show è disponibile in dvd, pubblicato da Lucky Red e distribuito da CG Entertainment, in formato 1.85:1 con audio in italiano e in inglese (DD 5.1) con sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali il trailer.
Luca Biscontini