Il quartetto messo in scena da Luca Guadagnino è composto da personaggi che non chiedono altro di tramontare, svanire, non esserci più: la loro tragedia è nulla rispetto a quella che si consuma a un passo dalla sontuosa villa di Pantelleria dove si muovono con regale decadenza, loro, che sono tutti artisti, creativi, dispensati dall’onere di produrre merci, espressione lampante di quella smaterializzazione che tanto contrassegna la nostra epoca, in cui pare non più riassorbibile il divario tra la concretezza del presente e la scommessa sul futuro. Sono completamente devitalizzati, residui di un meccanismo giunto al proprio limite, e davvero poco interessanti risultano le loro beghe personali, che non riescono a, e non devono, appassionare. Il dramma, è vero, è fuori campo, anche se non cessa di riverberare sull’intero film (gli immigrati accolti nei centri di permanenza dell’isola): l’umanità altra che preme ai confini dell’impero è l’unica sulla quale si può pensare di investire (emotivamente, economicamente), laddove il surplus vitale di cui è portatrice non può che spazzare via la carcassa esanime di un mondo agli sgoccioli.
Ora, ci si può trastullare, volendo, nell’esegesi psicanalitica delle dinamiche intercorrenti tra i quattro protagonisti: Tilda Swinton, Marianne, è una pop star in convalescenza, e ridotta per tale motivo al silenzio (le sue corde vocali sono malridotte); Matthias Schoenaerts, Paul, è il suo fidanzato, ex alcolista, ed ora impegnato documentarista; Ralph Fiennes è Harry, un produttore discografico (lo è stato anche dei Rolling Stones), ex compagno di Marianne; Dakota Johnson, infine, è Pen, la figlia che Harry da pochissimo ha cominciato a frequentare. Questioni edipiche, incesto, tradimenti: tutta la spazzatura del teatro dell’Io è messa maestosamente in scena da Guadagnino, e lo spettatore (sano) davvero non riesce a empatizzare. Sono borghesi colti nell’ultima fase di degenerazione antropologica, le coppie, ormai, sono inter scambiali, non c’è legame che tenga, e neanche il vincolo genitoriale (nel caso di Harry) costituisce più un limite. I loro corpi si trascinano, non c’è autenticità, tutto pare essere predisposto per una rappresentazione senza pubblico, quando, al contrario, sarebbe auspicabile un pubblico senza rappresentazione, e la spasmodica dialettica che sottende i loro rapporti non può essere presa sul serio.
Sarebbe un errore, quindi, rimproverare a Guadagnino il fatto di aver costruito una storia poco riuscita, laddove, almeno a parere dello scrivente, l’intento del regista era proprio quello di mettere alla berlina i propri personaggi, privandoli di qualunque spessore tragico. D’altronde, il finale con l’annegamento di Harry non sortisce alcun effetto drammatico, né dona venature thriller all’insieme, che rimane un affilato pamphlet, tutto teso all’archiviazione di una realtà desueta. Neanche la giustizia riesce a sbilanciare l’equilibrio della casa, in quanto i tre rimasti sono cittadini (americani) ‘al di sopra di ogni sospetto’, la morte del logorroico amico è stato senz’altro un incidente (oppure, nel film vi si allude, le responsabilità sono da attribuire a qualche immigrato penetrato furtivamente nella villa), e l’ossequioso maresciallo dei carabinieri (un Corrado Guzzanti macchiettistico) che cura le indagini può solo, alla fine, chiedere un autografo alla sua beniamina, che tira un sospiro di sollievo. Insomma, la fanno franca, è vero, ma il loro destino è segnato, è una questione di tempo (è necessaria anche una spallata che li spazzi via…..)
Ci sono, poi, alcune trovate registiche interessanti, da certi piani sequenza ben congegnati (con tanto di sguardo in camera di Ralph Fiennes, che pare quasi sfidare lo spettatore) a movimenti di macchina che rivelano una cura maniacale delle inquadrature, fino alla panoramica ripresa dall’alto del cadavere di Harry nella fantomatica piscina.
Chi scrive, dunque, per una volta non si unisce al coro di coloro che hanno mosso una miriade di riserve all’ultimo film di Guadagnino, bensì ne tesse le lodi per la capacità di immortalare con lucidità la fase attuale, tardo imperiale, nell’attesa della presa di coscienza di una moltitudine che sappia definitivamente imporsi.
Pubblicato da Lucky Red e distribuito da CG Entertainment, A Bigger Splash è disponibile in blu ray in formato 16:9 (1080 HD, 24 fps) con audio in italiano (DTS-HD 5.1 Master Audio) e sottotitoli per non udenti. Nei contenuti speciali: scene tagliate e trailer.
Luca Biscontini