Chloe – Tra seduzione e inganno (Chloe) è un film del 2009 diretto da Atom Egoyan, interpretato da Julianne Moore, Liam Neeson e Amanda Seyfried. È un remake del film francese Nathalie…, scritto e diretto nel 2003 da Anne Fontaine. Il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 12 marzo 2010 e adesso è su Netflix.
La recensione di Chloe – Tra seduzione e inganno (Salvatore Insana)
Chi è Chloe? Una formidabile storymaker, fabbricatrice di intrecci e metafora del potere fantasmatico e deformante che il cinema esercita sul materiale con il quale entra in contatto, o una mera storyteller impigliatasi nelle turbe mentali di chi non riesce ad aver più fiducia in quello che vede?
L’ultimo film di Atom Egoyan, remake del francese Nathalie…(2003), si insinua negli anfratti oscuri delle trame relazionali alto borghesi, producendo scompensi nell’impalcatura diegetica e nella fruizione di quello che, a prima vista, sembrerebbe un ordinario “psycho-thriller” di coppia.
Girato nella downtown di Toronto, tra lussuosi interni patinati e spazi architettonici di peculiare protagonismo (la Cn Tower, la Ravine House disegnata da Drew Mandel), sceneggiato da quellaErin Cressida Wilson già fattasi notare per l’erotica ironia diSecretary, e prodotto da Ivan Reitman, Choe mette in scena le fragilità insite in ogni rapporto che tenta di sopravvivere a se stesso, tra lo sgretolarsi progressivo dell’intesa, il crollare del controllo razionale, e la necessità di fuggire la solitudine attraverso una continua rinegoziazione dei limiti.
Catherine (Julianne Moore) pensa che David, il marito (Liam Neeson), la tradisca. Incontra Chloe (Amanda Seyfied), una giovane escort , ma già a suo agio in questo ruolo. La incarica di prendere contatto col presunto colpevole. La giovane sembra svolgere con efficienza pericolosamente scupolosa il compito assegnatole, sconvolgendo gli equilibri della stessa Catherine, e portando in superficie inaspettati flussi emotivi.
Ma tutto quel che veniamo a sapere degli incontri tra Chloe e David è frutto del racconto che la stessa piccola “prostituta” restituisce (o fabbrica) a posteriori, nelle conversazioni con la moglie tradita, incrinando la presunta oggettività dei fatti e ponendo seri interrogativi su quanto sia accaduto “veramente”.
Il film di Egoyan
Inoltrandosi in un campo d’indagine sempre più critico e inestricabile, tra la veridicità di ciò che attraversa i nostri sensi e la mutazione antropologica che i nuovi media inducono, il film di Egoyan – girato forse non a caso in pellicola – oscilla tra le ambiguità speculari di Catherine che, pur predicando continuamente e con freddezza “precauzioni” e “distanze”, è la prima a varcare le soglie della comunicazione verbale; e quelle di Chloe, la quale, sebbene ribadisca a più riprese la freddezza del virtuale e del digitale, e preferisca ancora il contatto fisico, il potere degli oggetti concreti e degli sguardi ravvicinati, con il suo agire fatto solamente di capacità affabulatorie, accresce i dubbi sulla “qualità” o meglio sulla autenticità/veridicità dei suoi gesti.
In quel It’s so real che Chloe pronuncia dopo il più intimo degli incontri con Catherine c’è allora un cortocircuito tra piani di realtà che suggerisce quanto il racconto, più della vita stessa, sia in grado di generare azione, reazione, emozione.
Per mettere in moto la macchina del pensiero, il virtuale e il reale sembra non facciano differenza: “viverla per raccontarla”, come suggeriva Garcia Marquez, o “raccontarla senza viverla”, entrando in uno dei mille ruoli finzionali attraverso i quali – e qui cito quel che confessò Al Pacino – molto più che nella vita reale, è possibile e consentito dire e cercare la “verità”.