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69 Festival di Cannes: Juste la fin du monde di Xavier Dolan (Concorso)

Senza mai perderne il controllo, l’enfant prodige Xavier Dolan esaspera il melodramma ed estremizza la recitazione in Juste la fin du monde, un’oppressiva e ora urlata ora taciuta iperstilizzazione di una disfunzione famigliare. Dolan chiama a raccolta un cast eccezionale: Marion Cotillard, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Nathalie Baye e Gaspard Ulliel

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Senza mai perderne il controllo, l’enfant prodige Xavier Dolan esaspera il melodramma ed estremizza la recitazione in Juste la fin du monde, un’oppressiva e ora urlata ora taciuta iperstilizzazione di una disfunzione famigliare. Questa volta non è esclusivamente il rapporto con la madre a essere indagato e messo in crisi, il figlio non uccide simbolicamente il genitore (I killed my Mother) e la madre non reagisce in modo coercitivo alle inquietudini violente del figlio (Mommy). L’ansia, l’incomprensione, la collera, la precarietà degli equilibri, l’inadeguatezza nel lasciar fluire le emozioni, i silenzi incolmabili e i monologhi gridati coinvolgono l’intera famiglia. L’incomunicabilità e il disagio relazionale sopraffanno, avviluppano e inghiottono un nucleo famigliare infetto.

Anni fa Anne Dorval (la madre nel sopracitato I Killed my Mother) suggerisce vivamente a Dolan di leggere la pièce teatrale vernacolare It’s Only the End of the World di Jean-Luc Lagarce, consiglio che vede un primo approccio fallimentare e la totale comprensione dell’opera dopo la lavorazione di Mommy.

Juste la fin du monde è la storia di un acclamato scrittore francese che ritorna a casa dopo circa dieci anni di assenza per comunicare alla sua famiglia la sua morte imminente. Dolan chiama a raccolta un cast eccezionale: Gaspard Ulliel recita la parte di Louis, lo scrittore silenzioso, Nathalie Baye la geniale e stravagante madre, Léa Seydoux è la sorella musona e risentita tuttavia piena di ammirazione per il fratello, Vincent Cassel è Antoine, sempre arrabbiato e pungente, Marion Cotillard la cognata remissiva e impacciata. Tutti attendono l’arrivo del famoso Louis e vorrebbero trascorrere una giornata piacevole con lui, intenzione che viene puntualmente disattesa.

La camera divora i personaggi in continui primi piani e lascia il resto fuori dalla scena. Non sappiamo niente di loro, del loro passato, a parte un breve ed onirico flashback di Louis, dei loro rapporti, delle vite attuali, del perché di questa lunga assenza. Probabilmente è l’arrivo di Louis a disorientarli, eccitarli, esasperarli a renderli impreparati al dialogo. O forse è questa generale pazzia ad averlo portato lontano. Nella claustrofobia della famiglia imperano il dramma, l’imbarazzo, l’ansia, logorroici e collerici monologhi. Anche negli scambi a due con Louis – ogni membro ne cerca uno – la comunicazione è univoca, Louis risponde a tutti con un silenzio criptico e un sorriso ancora più eludente e nessuno è in grado di mettere a fuoco l’oggetto della conversazione. Risultato, grida irose e silenzi pesanti assicurano di evitare il confronto con le proprie emozioni e con la persona tanto attesa.

Juste la fin du monde potrebbe essere un incubo di Louis, di cui assumiamo il punto di vista e lo sguardo confuso, un’allucinazione premonitoria e temuta dell’incontro rivelatorio, una scioccante visione di un amore tossico. Nel corso di questa euforica e disastrosa giornata Louis è sempre più provato, sconvolto, consumato dalla schizofrenia generale ma anche dal senso di colpa e dalla paura di irritarli ancora di più. La posizione di Louis è paradossalmente insopportabile e assurda: la comunicazione è la panacea per tutti i mali e allo stesso tempo l’affronto ultimo di un fratello-colpevole che, dopo l’abbandono e la dimenticanza, rientra nelle loro vite da vittima.

In questa commedia-melò nera come la pece – nessuno avrebbe potuto usare meglio la traccia pop dance Dragostea di tei (You want to leave but don’t want to take me) nella scena cult di madre e figlia – l’istituzione ‘famiglia’ è ormai ridotta a brandelli, è luogo malsano, perverso e insanabile. Juste la fin du monde è uno di quei film che divide, respingente e condannato senza appello per alcuni, per altri, come per chi scrive, è un inflessibile melodramma sui rapporti famigliari intenzionalmente recitato e diretto sopra le righe.

Francesca Vantaggiato

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