Sinossi: Lee Gates è un venditore televisivo da strapazzo, il cui programma, Money Monster, e la sua stessa vita vengono presi in ostaggio da un terribile uomo armato. Il sequestratore lo accusa di averlo portato alla bancarotta con i suoi consigli d’investimento e mentre il mondo segue in diretta la vicenda, Gates deve fare di tutto per restare in vita. Mentre la sua producer cercherà in tutti i modi di salvarlo, verrà alla luce una scomoda verità.
Recensione: Jodie Foster dirige questo modesto thriller su sceneggiatura di Alan DiFiore, Jim Kouf e Jamie Linden, riproponendo alcuni cliché che rendono la visione assai poco avvincente, dato che la prevedibilità dello sviluppo degli eventi lascia immediatamente presagire la discutibile prospettiva attraverso cui si vuole metabolizzare una questione decisiva come quella dell’economia finanziaria ai tempi della globalizzazione. Il faccione di George Clooney campeggia sullo schermo in formato 2.35:1, l’occhio non riesce a evitarlo, e l’irritazione monta, così come la delusione per una vicenda che avrebbe potuto assumere connotati molto più convincenti, realistici, incisivi.
Il ragazzetto (Jack O’Connell) che, non si sa come, riesce a penetrare nello studio televisivo durante la diretta dell’orribile programma Money Monster, condotto da Lee Gates (Clooney), viene dipinto come un immaturo, un instabile, uno con le idee poco chiare, nonostante abbia, proprio in virtù dei consigli elargiti dallo show man, investito sessanta mila dollari sulle azioni della Abis, andati in fumo, a detta dell’informazione ufficiale, per il cortocircuito dell’algoritmo che regola il volume degli scambi dell’azienda quotata in borsa; è arrabbiato, è vero, ma non possiede la sufficiente cattiveria per tenere ferma la sua posizione nei confronti di una degenerazione, quella della fluidità economico-finanziaria capitalista, che nel giro di un giorno l’ha ridotto in stato di povertà, situazione aggravata dall’attesa di un figlio.
Julia Roberts con la sua bocca larga e carnosa dirige le operazioni dalla cabina di regia, e la maggior parte del film si sviluppa proprio nel botta e risposta tra il davanti e il dietro le telecamere. Almeno in riferimento a questo aspetto Foster ha saputo dinamizzare il montaggio, e lo spettatore riesce a sorbirsi senza eccessivi effetti collaterali l’ora circa di alterco tra il conduttore e ‘il terrorista’ (si perdoni l’arbitrario slittamento semantico), con tanto di bomba pronta a esplodere e pistola puntata sulle tempie di Gates (cognome sospetto….).
Ma il punto su cui Money Monster davvero vacilla è la miopia di una visione che non cerca le falle strutturali di un sistema che ha causato nel giro di un ventennio l’impoverimento di una massa sterminata d’individui a vantaggio di un élite che sempre più domina incontrastata, bensì si sofferma sulle responsabilità personali, penali, di taluni che, avendone il potere, compiono atti illeciti, permessi da un normatività che, evidentemente, non ha interesse a impedirli. L’ammissione di colpa del rampante amministratore delegato della fantomatica società non risarcisce affatto lo sfortunato investitore: avremmo preferito che, non avendo alcunché da perdere, il ragazzo si fosse prodotto in qualche azione più estrema, essendone nel pieno diritto. Certo, nel film si mette sotto accusa il mondo finanziario, ma non lo si fa fino in fondo, in quanto lo si percepisce come una realtà ontologicamente costituente e che, per tale motivo, non può essere, alla fine, modificata davvero, o distrutta. Sebbene venga in parte perorata la causa del disperato giovane, il suo martirio non produce alcun effetto, se non l’imbarazzo dei due protagonisti, Patty Fenn (Roberts) e Gates, a proseguire un programma che non fa altro che veicolare la diffusione di un virus mortale, che ha già provocato un numero altissimo di contagi.
Si può vedere, dunque, questo Monster Money, sebbene sia colmo di tutti quei difetti che lo rendono un tentativo mancato di costituire un vero film di denuncia. È un prodotto che, alla resa dei conti, può solo intrattenere senza provocare veri scossoni nella coscienza dello spettatore. Gli preferiamo senz’altro il recente e più duro Desconoscido dell’esordiente spagnolo Dani De La Torre. Lì almeno la vittima ‘finanziaria’ davvero dava filo da torcere al mascalzone di turno che l’aveva messa sul lastrico, determinata com’era a pareggiare i conti.
Luca Biscontini