I compagni è un film del 1963 diretto da Mario Monicelli, scritto dal regista insieme alla coppia Age–Scarpelli. La pellicola ha come interpreti principali Marcello Mastroianni e Renato Salvatori e fu candidata agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Torino, fine Ottocento. In una fabbrica tessile, l’ennesimo grave incidente spinge gli operai a richiedere migliori condizioni di lavoro. Quando la loro richiesta di ridurre l’orario di lavoro da quattordici a tredici ore viene del tutto ignorata, decidono di compiere un gesto dimostrativo, suonare la sirena di fine turno in anticipo di un’ora, che procura però una multa a tutti e una sospensione a Pautasso, l’autore materiale. Gli operai organizzano quindi uno sciopero, approfittando dell’esperienza in materia dell’esperto professor Sinigaglia, appena giunto in città proveniente da Genova, ricercato dalla polizia per aggressione ad un pubblico ufficiale durante una manifestazione. I padroni per risolvere la situazione sono disposti a ritirare multa e sospensione e “perdonare” gli operai influenzati da “agitatori di professione”, ma gli operai non possono accettare una concessione così modesta rispetto al livello ormai raggiunto dalla protesta. Di fronte alla resistenza degli operai, che tengono duro, forti della reciproca solidarietà, i padroni arrivano a chiamare lavoratori disoccupati da un’altra città. Gli scioperanti tentano di bloccare il treno che trasporta i crumiri, ma durante gli scontri Pautasso perde tragicamente la vita. Il prof. Sinigaglia, visti i precedenti, è costretto a nascondersi e trova un accogliente rifugio nella casa della prostituta Niobe, figlia di un operaio che l’ha ripudiata per la sua scelta di vita. I lavoratori in sciopero, dopo aver resistito un intero mese, sono ormai prossimi a cedere, ignorando di aver portato i padroni sul punto di cedere per primi. Mentre gli operai hanno già votato per la ripresa del lavoro, il prof. Sinigaglia lascia il comodo nascondiglio, rischiando l’arresto per parlare agli operai, giunge trafelato e riesce a riaccendere in loro il desiderio di proseguire la lotta con la sua appassionata retorica, che riecheggia il discorso di Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare. Spinti dalle parole del professore, i lavoratori marciano in corteo verso la fabbrica per occuparla. Ma la cavalleria, chiamata a difendere la fabbrica, spara sulla folla e uccide Omero, uno degli operai più giovani, appena un ragazzino, mentre il prof. Sinigaglia viene infine arrestato. Gli operai tornano al lavoro, sconfitti. Fra loro il fratello minore del ragazzo ucciso, che ne ha preso il posto. Il prof. Sinigaglia, dal carcere, continua a diffondere le sue idee di progresso sociale, mentre altri lavoratori come Raoul portano avanti la lotta.
Benché Monicelli lo preferisse al suo precedente e popolare La grande guerra, il film non fu amato in patria. Il Dizionario Mereghetti lo definisce «un affresco spettacolare, divertito e malinconico sul nascente movimento operaio […] una commossa rievocazione del socialismo torinese agli inizi del secolo». Il Dizionario Morandini critica le «parti deboli dove è evidente l’intenzione di creare un’atmosfera nazional-popolare», che tendono verso Edmondo De Amicis, ma loda le «parti valide piene di verità», la fotografia di Rotunno e l’interpretazione di Mastroianni.