Il plot è uno dei più semplici in assoluto: un gruppo eterogeneo di persone invitate nel castello in cui un archeologo compiva misteriosi esperimenti su alcune mummie etrusche finiscono assediate dalle stesse, resuscitate e non poco propense a sgranocchiare carne umana.
Ma allora cosa ha permesso a Le notti del terrore (1980) – anche conosciuto come Zombie horror – di Andrea Bianchi di trasformarsi in un vero e proprio cult del cinema dei morti viventi in un periodo in cui, tra l’altro, fu lo splendido Zombi 2 (1979) di Lucio Fulci a venire alla luce, divenendo il miglior zombie movie tricolore di sempre?
Non certo la fattura dell’operazione, considerando le pessime performance sfoggiate dagli attori che lo popolano e le ridicole reazioni (dialoghi inclusi) manifestate dai protagonisti, bensì la somma di tutte queste negative caratteristiche che, paradossalmente, hanno consentito avesse luogo quell’assurdo corto circuito della Settima arte più misera destinato a generare lavori tanto brutti quanto divertenti.
Perché, a partire dagli scarni ritornanti qui portati in scena, comunque capaci di esercitare un determinato fascino (almeno sull’appassionato di horror maggiormente accanito) anche a causa di una più o meno vaga somiglianza con i resuscitati ciechi della tetralogia spagnola concepita da Amando De Ossorio, è impossibile non rimanere travolti dalla sequela di assurdità messe in scene con buona dose di dilettantismo nella sola intenzione di regalare pura exploitation finalizzata esclusivamente alla truculenza ad ogni costo.
Quindi, tra decapitazioni, antropofagia e un occhio perforato tramite vetro affilato richiamando alla memoria proprio la raccapricciante uccisione di Olga Karlatos nel citato classico fulciano, la sua riscoperta su supporto dvd operata da CineKult – collana curata dalla rivista Nocturno per l’etichetta CGHV – non può rappresentare altro che l’occasione per rituffarsi in un esilarante spettacolo a base di risate involontarie al sangue partorito in tempi in cui la celluloide italiana era vero rischio e coraggio da parte dei produttori; tanto da arrivare qui ad inscenare la storica, disgustosa sequenza in cui, nei panni di un incestuoso bambino (!!!), il nano freak Peter Bark (all’anagrafe Pietro Barzocchini) strappa a morsi il capezzolo della madre, incarnata dalla Mariangela Giordano che per Bianchi aveva già interpretato il demoniaco-erotico Malabimba (1979).
E, se la sezione extra del disco ospita un contributo di ventitré minuti riguardante la storia del cinema zombesco made in Italy con interventi dello sceneggiatore Dardano Sacchetti, del sopra menzionato Fulci, di Marina”Zombi 3”Loi e dei registi Claudio Lattanzi, Aristide Massaccesi, Bruno Mattei, Claudio Fragasso e Michele Soavi, CineKult non sembra fermarsi a questo e, spostandosi di filone, recupera dal dimenticatoio Buon funerale amigos!… paga Sartana (1970), terzo capitolo della serie iniziata con Se incontri Sartana prega per la tua morte (1968) di Gianfranco Parolini e Sono Sartana, il vostro becchino (1969) di Giuliano Carnimeo.
Lo stesso Carnimeo che – firmandosi, come di consueto, Anthony Ascott – si trova anche in questo caso dietro la macchina da presa per riportare Gianni Garko nel ruolo del cowboy illusionista del titolo, dal mantello nero e dai colpi infallibili, ma con due grossi baffi biondi al posto della barba eastwoodiana sfruttata nei primi due film.
Cowboy illusionista che, testimone dell’uccisione di un cercatore d’oro e deciso a scoprirne gli assassini, conosce a Indian Creek Jasmine alias Daniela Giordano, nipote della vittima, convincendosi che la chiave del mistero sia un appezzamento di terreno (forse prezioso) che fa gola al banchiere Ronald Hoffman, cui concede anima e corpo Antonio Vilar.
Il resto, con il protagonista destinato a finire nel mirino dei killer di quest’ultimo, lo fa una avvolgente atmosfera gotico-tenebrosa che, insieme a bizzarre trovate come quella di affrontare i nemici ricorrendo a un mazzo di carte taglienti, provvede a rendere decisamente originale ed atipico un violento spaghetti western qui accompagnato da circa ventisei minuti di intervista a Garko, il quale racconta la nascita di Sartana e ricorda il suo primo impatto col genere, ai tempi in cui Sergio Leone stava mettendo in piedi la intramontabile Trilogia del dollaro.