Sinossi: Una ragazza si sveglia dopo un terribile incidente d’auto e realizza di essere rinchiusa in uno scantinato insieme a un uomo che le rivela di averle salvato la vita e che, fuori, l’intera umanità è stata sterminata da un olocausto nucleare o forse addirittura da un attacco alieno. L’aria all’esterno è quindi irrespirabile e ci vorranno almeno due anni prima che si possa anche solo pensare di uscire. Indecisa se credere o meno alle parole del suo carceriere la giovane decide di scappare dal bunker.
Recensione: Sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi dicendo che 10 Cloverfield Lane non rappresenta in alcun modo una filiazione del quasi omonimo e notevole monster movie che, ormai quasi dieci anni fa, rivelò al mondo il talento di Matt Reeves e ridefinì le coordinate di quel found footage che già allora iniziava a mostrare i primi segni di usura. Gli unici punti di contatto sono la longa manus del genio del marketing “d’autore” J.J.Abrams e la capacità di entrambi i film di mettere in scena un evento apocalittico senza (quasi) mai mostrarlo. Laddove però Cloverfield concentrava l’attenzione sulle reazioni dal basso di un’invasione arrivata dal cielo, questo 10 Cloverfield Lane scende ancora più in profondità e, per la precisione, sotto terra, in un bunker attrezzato per la sopravvivenza in caso di disastro nucleare in cui via via si consumano tutte le possibili sfumature del classico rapporto tra un prigioniero e il suo carceriere.
L’intero film è basato infatti sul meccanismo di costruzione della fiducia e sui numerosi segnali che, al contrario, non possono che invitare al dubbio. Il mondo fuori è davvero finito o l’uomo che sostiene questa tesi è semplicemente un matto?
Su questo si interroga la protagonista Michelle per buona parte della durata del film e lo script è abilissimo nel trasferire la stessa domanda anche allo spettatore, senza consentirgli mai alcuna illusione di onniscienza rispetto a ciò che la macchina da presa decide di celare. Merito di un dosaggio degli elementi assai accorto (ogni singolo oggetto inquadrato ha una sua funzione diegetica ben precisa) e di una tensione che monta costante senza però mai deflagrare né tanto meno frustrare la visione. Il tutto senza mai spostarsi di un millimetro dalle linee guida di un cinema di serie B che l’esordiente Dan Trachtenberg, non solo non disdegna, ma addirittura insegue con fierezza.
E’ evidente, ad esempio, nella metamorfosi di Michelle da vittima sacrificale apparentemente indifesa a eroina tout court non priva di risvolti action, perfetta incarnazione di un’ipotetica Ellen Ripley 2.0, così come nel paranoico villain interpretato dall’immenso (in tutti i sensi) John Goodman in un trionfo di basso profilo. Il film sarebbe da promuovere anche solo per l’intuizione di prendere quel lato vagamente malsano che, seppur sotto traccia, era già in nuce anche nei ruoli più ridanciani ricoperti in carriera dall’attore feticcio dei fratelli Coen e amplificarlo a dismisura.
Cos’è infatti questo Howard Stambler se non l’evoluzione, in chiave apocalittica, del reduce di guerra con problemi di gestione della rabbia de Il grande Lebowsky?
Al netto dei rimandi cinefili, però, ciò che piace di più di questo 10 Cloverfield Lane è il modo in cui riesce a raccontare un’America ormai irrimediabilmente divisa tra la paura di un sempre più generico pericolo esterno e le insidie, spesso maggiori, che si annidano dentro casa, tra le pieghe di un difensivismo eccessivo dai contorni a dir poco autolesionistici. J.J.Abrams queste dinamiche le conosce benissimo e sa come usarle a fini drammaturgici, fin dai tempi degli “altri” di Lost, serie TV che a distanza di anni continua a generare innumerevoli multiversi narrativi e da cui forse è mutuata l’idea stessa del rifugio antiatomico che così tanto richiama alla mente il bunker della Stazione Cigno.
Un piacevole antidoto, solo apparentemente artigianale (in realtà dietro c’è una strategia di comunicazione da farci una tesi di laurea), all’autorialità a tutti i costi e alle svogliate politiche hollywoodiane di rebooting selvaggio.
Fabio Giusti