Come nell’altrettanto potente Nostalgia de la luz, Patricio Guzman dimostra la straordinaria capacità di fondere in una commistione perfettamente omogenea e fluente immagini indescrivibili, voce e musica, regalandoci un altro preziosissimo documentario di rara poesia.
Ancora una volta, il talentuoso regista cileno dilata e contrae magistralmente spazio e tempo ai fini del racconto, e ribadisce l’imprescindibilità di un mondo senza soluzione di continuità tra i suoi elementi, che vede presente, passato e futuro congiungersi in un unica dimensione nella quale gli eventi si ripetono, con l’amara constatazione che il loro ricorrere non è sufficiente a far sì che si impari dagli errori commessi.
Un mondo in cui tutto è assolutamente fluido, in cui ogni fattore comunica e dà dei segnali, in cui tutti gli elementi dialogano tra loro, sussurrano, cantano.
Così, “l’acqua viene dalle stelle”, e come per gli indigeni della Patagonia, è un’idea, un concetto inseparabile dalla vita, vi si instaura un rapporto simbiotico e pervasivo, di appartenenza e reciprocità, che solo chi è cresciuto vicino al mare può comprendere a fondo, come Guzman spiega molto bene, che si perde se ce ne si allontana troppo o per troppo tempo.
Un acqua governata da leggi accomunabili a quelle del pensiero, cosicché l’attività di pensare, può essere assimilata all’oceano.
Ed è proprio l’acqua, dotata di vera e propria voce, che parla attraverso il rumore della pioggia, attraverso il canto di un fiume, prodotto dalle decine di suoni che si sovrappongono e si armonizzano componendo un’unica melodia, ad accompagnarci e immergerci nel doloroso ripercorrere la storia di un paese, il Cile, ancora tormentato dai suoi spettri, che ha vissuto periodi tra i più bui e indegni dell’esistenza umana, che ha visto due volte nel tempo parte dei suoi abitanti subire inconcepibili violenze e soprusi da parte di un potere imposto che ha mortificato, sopraffatto, oppresso e distrutto la loro individualità sino ad annientarla.
Quell’acqua che non mantiene i segreti ingiusti, che riporta alla superficie i corpi abusati, stuprati, o le testimonianze inequivocabili della loro esistenza; corpi che ci accusano tutti quanti con gli occhi aperti, corpi ormai privi di vita, utili solo a ricordarci di che pasta siamo fatti, esseri umani, perché, come nelle credenze degli indigeni, i loro spiriti, ora, hanno trovato pace nelle stelle.
Corpi che se ci fosse stato anche soltanto un barlume di umanità, di minimo rispetto, sarebbero dovuti essere quantomeno restituiti e non dal mare, dopo essere stati privati della vita, come se non fossero bastate le torture che gli sono state inflitte, perché potessero essere pianti, perché mantenessero la dignità di cui sono stati defraudati, perché potessero continuare a vivere nell’amore e nel cordoglio dei loro cari.
Incredibilmente efficace la sovrapposizione di più piani temporali, che trova le tristi analogie tra le vessazioni e le violenze subite dagli indigeni della Patagonia all’arrivo dei coloni, e quelle compiute sui prigionieri politici torturati, massacrati e uccisi durante la dittatura di Pinochet.
Il messaggio, che arriva diretto e potente, è che nonostante vi sia stata, vi sia ancora e vi sarà sempre, data la natura dell’essere umano, la possibilità di agire nel silenzio, nei modi più biechi e orribili, nella più totale insensibilità e nel non rispetto della vita, la vita non subisce passivamente, non soccombe, non cessa di esistere e basta, ma semplicemente prende un’altra forma e in qualche modo si ribella, e rigurgita tutta la melma, lo schifo, il dolore e l’ingiustizia che le è stata perpetrata, riportandoli alla luce con una forza commovente.
E commovente è la forza d’animo con cui Patricio Guzman, comunica tutto il suo sdegno, la pena, la sofferenza con i quali vive la storia del suo paese, come si fa baluardo dell’esigenza imprescindibile di non cedere all’oblio, di far sì che tutto questo non venga mai dimenticato.
Si sente tutto, il dolore, arriva dritto e profondo, trasmesso potentemente da ogni immagine, da ogni nota di una colonna sonora bellissima, dalla sua voce pacata ma determinata, dagli occhi infossati delle persone intervistate.
E ancora, ad aggiungersi all’insieme di fattori che vanno a costruire una struttura di tale solidità e vigore, Guzman conferisce e riconosce all’arte il suo potere più grande, quello di fungere da mezzo di espressione, di rafforzare, amplificare e trasmettere ciò che è più intenso e difficile da comunicare, inserendo sapientemente e alternandoli alle immagini, nel suo già nobilissimo racconto, elementi artistici come la poesia e l’arte figurata, incarnati in un poeta e in una pittrice connazionali che lo accompagnano nel percorso costituendone un valore aggiunto.
Un uomo che è riuscito a mettere a servizio del cinema, per la gioia dei nostri occhi che hanno la fortuna di godere di tanta grazia, quanto di più coinvolgente, impressionante, meraviglioso, e allo stesso tempo doloroso e ingiusto, possa esistere nel contraddittorio mondo dell’essere umano, rapportandolo al ciò che è accaduto nel proprio paese.
il film ha ricevuto un meritatissimo Orso d’Argento alla Berlinale 2015, per la migliore sceneggiatura.
Il valore di questo grande regista è stato recentemente riconosciuto anche dalla distribuzione italiana, così Guzman sarà in sala nello stesso mese, a partire dal 28 Aprile, con ben due film.
Questo, che uscirà con il titolo La memoria dell’acqua, come spesso accade, molto meno suggestivo ed efficace rispetto all’originale El boton de nacar; e Nostalgia della luce, altro documentario del 2010, anch’esso di enorme impatto visivo ed emotivo, che ripercorre la storia del Cile attraverso le meraviglie del Deserto di Atacama e dell’astronomia.
Le due opere costituiscono i primi due capitoli di una trilogia di cui attendiamo con ansia il terzo e ultimo dono.
Quindi, il talento cileno si impone sul panorama cinematografico degli ultimi anni rappresentandone una componente fondamentale.
Autori come Pablo Larrain e Patricio Guzman, entrambi enormemente legati, nelle loro opere, alla storia del paese in cui sono nati, e tra l’altro uniti tra loro anche da un rapporto di amicizia, hanno offerto recentemente un contributo di valore inestimabile al cinema più prezioso, intenso e vero, dando il raro esempio di un lavoro di profondo slancio emotivo, che parte dalla pancia e che fa ricorso a tutta la sua energia, sfondando qualsiasi difesa e arrivando diretto e pieno al cuore di chi ne viene felicemente investito.
Roberta Girau