Film da Vedere

Carnage di Roman Polanski

Il politically correct è morto da tempo e non è certo Roman Polanski il primo a ricordarcelo, ma lo fa con uno stile sobrio e ironico che si addice a chi è consapevole di affermare qualcosa di vero, anche se non particolarmente originale. Il film riprende la piece teatrale Le dieu du carnage di Yasmina Reza, che collabora alla sceneggiatura del film insieme al regista, e ne conserva l’unità spaziale, temporale e di azione

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Carnage è un film del 2011 diretto da Roman Polański, basato sull’opera teatrale Il dio del massacro della drammaturga e scrittrice francese Yasmina Reza. Con  Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly.

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Il politically correct è morto da tempo e non è certo Roman Polanski il primo a ricordarcelo, ma lo fa con uno stile sobrio e ironico che si addice a chi è consapevole di affermare qualcosa di vero, anche se non particolarmente originale. Il film riprende la piece teatrale Le dieu du carnage di Yasmina Reza, che collabora alla sceneggiatura del film insieme al regista, e ne conserva l’unità spaziale,  temporale e di azione.

I protagonisti di Carnage sono due coppie di genitori che, ciascuna con le caratteristiche della propria collocazione economica e politica, cercano di affrontare e risolvere in modo “civile” una controversia nata dal litigio dei loro figli e dal conseguente ferimento di uno dei due. Sebbene tutti appaiano spinti dalle stesse motivazioni pacificatorie, e, apparentemente, dallo stesso background culturale, finiranno per sbranarsi a vicenda, lasciando emergere tutte le loro pulsioni più profonde. E nel loro fondo non c’è qualcosa di veramente terrificante ma solo di molto deprimente (anche se questi “uomini medi” apparivano come mostri agli occhi di Pasolini): luoghi comuni, superficialità, incertezze, debolezze, bassezze. Si scopre che quella patina di educazione e civiltà che mettono in mostra tutti i buoni borghesi come loro (una coppia appartiene alla ricca borghesia, l’altra a quella media) è solo un collante sociale che deve tenere insieme i pezzi di una classe senza veri principi morali o culturali. Paradossalmente il personaggio che ne esce peggio è proprio quello di Jodie Foster, una libraia con la passione per la scrittura e i diritti umani che, sebbene fermamente convinta delle proprie idee, non riesce ad essere una persona migliore di quelle prive della sua idealità. Resta totalmente immersa nella melassa dei rapporti sociali della sua classe, senza riuscire ad elevarsi davvero, lasciando il dubbio che la sua diversità sia solo superficiale.

Il film in concorso alla 68° Mostra di Venezia non ha raccolto nessun premio e sebbene tempi, recitazione e messa in scena siano ben riusciti, non lascia stupiti, dato il tono leggero che lo caratterizza. Probabilmente per Polanski questo film voleva essere anche una sorta di auto risarcimento per l’intricata vicenda giudiziaria statunitense che lo ha visto recentemente coinvolto, in cui sembravano accantonati gli elementi drammatici dello stupro e dell’abuso sessuale e prevalere quelli terreni e melodrammatici di una farsa.

Come dimostra anche la vicenda di Strauss Kahn, gli USA, e a seguire il resto del mondo occidentale, stanno prendendo atto dei limiti del politicamente corretto. Quel modello si è dimostrato un tentativo razionale ma superficiale di implementare i diritti acquisiti dai soggetti oppressi, e il suo superamento non lascia ancora intravedere una nuova evoluzione. Ma del futuro il film di Polanski non fa parola.

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