Giulio Cesare (Julius Caesar) è un film del 1953 diretto da Joseph L. Mankiewicz, con Marlon Brando, James Mason, John Gielgud e Louis Calhern, primo adattamento cinematografico dell’omonima tragedia di William Shakespeare. Mankiewicz fu il primo a trasporre per il cinema la celebre tragedia di Shakespeare, ottenendo nel 1954 l’Oscar per la migliore scenografia ed altre 4 nomination. Nel cast ricco di grandi attori affermati, brillò di una luce tutta sua il giovane Marlon Brando nel ruolo di Marco Antonio all’interno del film.
« Cesare, guardati da Bruto;
sta’ attento a Cassio; non avvicinarti a Casca;
tieni d’occhio Cinna; non fidarti di Trebonio;
fa’ attenzione a Metello Cimbro; Decio Bruto non ti ama;
hai fatto torto a Caio Ligario.
Questi uomini han soltanto un proposito,
ed è diretto contro Cesare. »
(Artemidoro)
L’azione si svolge principalmente a Roma, poi, nel finale, a Sardi e Filippi, in Grecia. I congiurati si preparano ad uccidere Cesare (al centro) Bruto, i cui antenati sono celebri per aver cacciato da Roma Tarquinio il Superbo (il fatto è descritto ne Lo stupro di Lucrezia), è il figlio adottivo di Cesare. Egli si lascia convincere ad entrare in una cospirazione, ordita da alcuni senatori romani tra cui Cassio, per impedire che Cesare trasformi la Repubblica romana in una monarchia. Cesare, tornato a Roma dopo la campagna d’Egitto, incontra un indovino che lo avvisa di guardarsi dalle idi di marzo, ma egli ignora l’avvertimento, e verrà assassinato proprio nel giorno predetto. Subito dopo la morte di Cesare un altro personaggio compare come amico di Cesare: si tratta di Marco Antonio che, tramite il celeberrimo discorso Amici, Romani, cittadini, datemi ascolto, muove l’opinione pubblica contro gli assassini di Cesare.
Ucciso Cesare, Bruto attacca Cassio, accusandolo di regicidio in cambio di denaro; i due in seguito si riconciliano, ma mentre entrambi si preparano alla guerra contro Marco Antonio e Ottaviano, lo spettro di Cesare appare in sogno a Bruto, annunciandogli la sua prossima sconfitta (“Ci rivedremo a Filippi” – atto IV, scena III). Infatti la battaglia volge a sfavore dei cospiratori, e pertanto sia Bruto che Cassio decidono di suicidarsi piuttosto che essere fatti prigionieri. Nel finale Marco Antonio, dinanzi alla salma di Bruto, ne loda l’onestà e lo discolpa perché non uccise per odio, ma per amor di patria, e termina con la bellissima frase: La sua vita fu onesta e così piena delle sue qualità che la natura potrebbe alzarsi e dire all’universo: “Questi era un uomo!”.