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SoundScreen Film Festival: Belgica di Felix Van Groeningen

Pur non avendo racimolato a Ravenna premi o menzioni, l’eccitante, turbinoso Belgica è uno dei film che hanno fatto maggiormente discutere il pubblico del SoundScreen Film Festival. Miglior Regia al Sundance 2016, accolto anche a Berlino con interesse, il film diretto dal fiammingo Felix Van Groeningen può risultare magari un po’ troppo lungo, può apparire disarmonico, slegato e caotico in certi snodi narrativi, ma è pur sempre esempio di un cinema vivo che rivela grande personalità dietro la macchina da presa.

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Pur non avendo racimolato a Ravenna premi o menzioni, l’eccitante, turbinoso Belgica è uno dei film che hanno fatto maggiormente discutere il pubblico del SoundScreen Film Festival. Miglior Regia al Sundance 2016, accolto anche a Berlino con interesse, il film diretto dal fiammingo Felix Van Groeningen può risultare magari un po’ troppo lungo, può apparire disarmonico, slegato e caotico in certi snodi narrativi, ma è pur sempre esempio di un cinema vivo che rivela grande personalità dietro la macchina da presa.

Già autore del vibrante Alabama Monroe, Van Groeningen torna qui alla prediletta poetica dei “losers” ritagliando altre storie di personaggi irregolari, non conformi allo stile di vita borghese, portati talora a sognare in grande ma capaci perlopiù di rovinarsi la vita con le proprie mani. Più in particolare è la storia di due fratelli a tenere banco, due fratelli problematici che per un po’ si ritrovano ad appianare le differenze pur di far crescere un locale alternativo cui entrambi sembrano tenere molto, sia per i cospicui introiti economici che si prospettano, sia per quell’anelito di libertà che ne ha guidato la nascita. Il “Belgica”, per l’appunto. Ma tra consumi industriali di coca, episodi di corruzione, rapporti tumultuosi con quei dipendenti del club inizialmente selezionati nella loro cerchia di amici, storie sentimentali a rischio ed altre scelte sicuramente avventate, tanto la stabilità economica del locale che il già difficile legame famigliare e professionale tra i due andranno incontro a un rapido declino…
Sono Stef Aerts nei panni di Jo e Tom Vermeir in quelli di Frank ad assicurare, con la loro strepitosa interpretazione, un notevole appeal emotivo, per tutto ciò che concerne le vicissitudini più intime e il complicato rapporto tra i due fratelli. L’altro grande personaggio del racconto, però è proprio il locale. Difatti nel progredire di Belgica si respirano almeno in parte quelle atmosfere già ravvisate, un tempo, in titoli come Studio 54 (1998) di Mark Christopher o addirittura I padroni della notte (2007) di James Gray, volendo buttare un occhio oltreocano. Ciò che invece costituisce un tratto specifico del film belga, a nostro avviso, è quella attrazione costante per il pensiero e per i confronti verbali più “politicamente scorretti”, che sembrano fotografare così bene l’attuale fase di disorientamento percepibile nella piccola nazione europea.

Con una colonna sonora selvaggia e composita che ha buon gioco nell’irrobustire naturalmente il racconto, lo stile di riprese così accurato e avvolgente di Van Groeningen si lega poi a un montaggio estremamente fluido, da cui le vicissitudini relative al night club e ai suoi pittoreschi personaggi acquistano l’enfasi giusta per calamitare l’attenzione degli spettatori. Resta il fatto che i piccoli passaggi a vuoto della trama e qualche accenno di prolissità sottraggono poi un po’ di intensità al lungometraggio. Ma riguardo a questo, considerando anche l’appeal visivo dell’opera, si può fare quello che letteralmente fa per tutto quanto il tempo uno dei personaggi principali della storia: chiudere un occhio.

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