…e ora parliamo di Kevin è un film del 2011 diretto da Lynne Ramsay, adattamento cinematografico del romanzo Dobbiamo parlare di Kevin di Lionel Shriver, successivamente ripubblicato con il titolo …e ora parliamo di Kevin dopo la distribuzione del film.
Il film è interpretato da Tilda Swinton, John C. Reilly e Ezra Miller, ed è stato presentato in anteprima e in concorso al Festival di Cannes 2011.
Il film è disponibile on demand su Amazon Prime Video.
‘…e ora parliamo di Kevin’: trama
Anonima provincia americana: Eva è stata una donna irrequieta in epoca giovanile, ora è una madre impaurita e si accinge a incontrare il destino di una donna devastata. Queste sono le tre fasi, opportunamente intrecciate e dipanate, raccontate e distinte attraverso tre diverse lunghezze di capelli. Nei primi 20 minuti ci vuole una discreta abilità per districarle ma niente da temere, tutto verrà chiarito.
Dovrà fermarsi Eva, su richiesta di Franklin, metterà al mondo Kevin e la sua vita sarà sottoposta a dura prova. Kevin è un bambino che sa solo piangere e urlare, non parlerà e continuerà la fase anale oltre il tempo previsto, sarà una provocazione e un sfida continua solo per la madre. Il padre non gli interessa, viene usato solo come mezzo per distruggere l’obiettivo materno e questo varrà anche per la sorellina. Quel materno che forse, inizialmente non lo ha desiderato; quel materno che si è permesso di non essere consapevole di mettere al mondo una vita non qualunque; quel materno non ritenuto degno di essere confortato da un minimo riconoscimento filiale.
Questo sembra il giudizio al quale viene continuamente sottoposta una madre fragile, piena di sensi di colpa e paralizzata dal timore di sbagliare. Una madre che va sfidata per vedere se sa reagire, sottoposta ad un esame esistenziale logorante: l’unica cosa speciale che avrebbe fatto è quella di avergli provocato una rottura del braccio con cicatrice: finalmente una reazione al figlio, finalmente un segno di vita, al quale Kevin risponde con estremo controllo mentendo al padre e difendendo la madre dalla sua responsabilità.

Un rapporto speciale
In …e ora parliamo di Kevin Kevin vuole una madre attiva, che risponda alle sue provocazioni, semplicemente perché non accetta che costei si è permessa di farsi scegliere, di farsi diventare madre e di continuare ad esserlo senza averlo voluto…
“Non è detto che se ti abitui ti piace, tu sei abituata a me”, ecco una delle crudeli risposte alla madre.
Solo in un momento di malattia Kevin riesce a stare a contatto con lei ma è una debolezza che non vedrà repliche. È una passione perversa tra Eva e Kevin: la madre patisce il figlio e non riesce a recuperarlo all’amore, il figlio patisce la madre e non riesce a recuperarla alla vita. Kevin vuole una madre protagonista, una madre attiva, consapevole; vuole con lei un rapporto “speciale”.
Il motivo è che non c’è un reale motivo se non quello di un incontro malriuscito di aspettative disattese. E la tragedia definitiva è ormai scritta con un bagno di rosso sangue. Eva chiederà al figlio il perché e lui dirà che pensava di saperlo ma ora non ne è sicuro. Un film senza catarsi, nessun riscatto è previsto se non quello di infiniti punti di domanda:
Madri si nasce? I figli sono un lancio alla roulette? È tutto responsabilità dei genitori? Quanti diventano tali consapevolmente? Tutti coloro che generano sanno amare? Come si può capire il disagio dei figli? È solo un problema di amore? Di educazione? Le neuroscienze possono dare un contributo?

Il frazionamento psichico dell’identità
…e ora parliamo di Kevin è quello che i genitori non sono riusciti a fare in questa storia e quello che spesso non riescono a fare: l’incomunicabilità, la solitudine, l’incomprensione, l’inspiegabile prende il sopravvento fino a scavare una trincea di smarrimento e di insensatezza. Da qui nasce come per Kevin quello sguardo che non sa dove scatenarsi, su di sé o sugli altri; quei gesti che celebrano l’eccesso della vita oltre le misure concesse nell’ingenua confusione dei codici fino al limite dove è il codice della vita a confondersi con quello della morte. Il volume delle sensazioni è troppo alto o incredibilmente piatto e laddove non c’è connessione che sintonizzi cuore, pensiero e gesto nascono biografie capaci di azioni violente senza un reale movente.
Kevin non sa perché lo ha fatto e non sa cosa ha fatto, il suo sentire è atrofico, inespressivo, non reattivo; gli eventi della vita passano senza una reale partecipazione e così si apre il capitolo dell’enigma che i figli diventano per i genitori. Nasce quel frazionamento psichico dell’identità che vive nel gesto, nell’agire che confonde il confine tra il bene e il male, perché alimentato dalla noia, dalla ricerca dell’eccitazione e come per Kevin dalla necessità di provocare, di sfidare, per sentirsi vivi.
Questo è un film che corrode, che assolutizza una prospettiva aprendone infinite, che provoca reazioni, che scombina convinzioni, che setaccia, insulta, travolge, contamina, inquieta. È la storia che fa riflettere sulla dimensione che assume l’enigma contemporaneo del rapporto genitori/figli. Non consente di restare immuni, ogni scena rimane tatuata sulla pelle, ogni parola scolpita nelle ossa. Il film lascia una cicatrice che ha tutte le caratteristiche per restare aperta.
Beatrice Bianchini