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Cella 211

“Il terzo lungometraggio firmato Daniel Monzon è un onesto prison movie che strizza l’occhio ad alcuni classici del sottogenere in questione…”

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«Loro usciranno, mentre tu finirai per trascorrere qui dentro la maggior parte della tua vita». Juan Olivier, uomo qualunque preso di peso dall’immaginario hitchcockiano, viene introdotto alla sua drammatica parabola di vita da questa profetica battuta.

Il terzo lungometraggio firmato Daniel Monzon è un onesto prison movie che strizza l’occhio ad alcuni classici del sottogenere in questione (vedi Rivolta al Blocco 11 di Don Siegel); sostenuto da un corretto uso della suspense e da qualche timida ma efficace virata metacinematografica (l’utilizzo reiterato di riprese provenienti dalle telecamere a circuito chiuso, dai telefonini o dai servizi televisivi), esalta l’improvvisa educazione “bunkeriana” di un infiltrato per necessità di sopravvivenza, attraverso uno stile di regia capace di rasentare il tocco documentaristico. Accompagnato in Spagna da otto premi Goya (tra i quali Miglior Regia, Attore, Attrice non Protagonista e Attore Esordiente, Montaggio, Sceneggiatura non originale e Suono), si palesa ben presto per quello che è: il classico compitino ben svolto con all’attivo una serie di “figure retoriche” proprie del filone di appartenenza (una su tutte la guardia carogna alla quale piace menar le mani), e il contributo di un’originale inventiva ridotto al minimo indispensabile.

Monzon rivede e corregge l’ispirazione letteraria proveniente dal romanzo di Francisco Pèrez Gandul da qualsiasi elemento che abbia a che vedere con il sottotesto politico dell’opera d’origine, gettandosi d’istinto nelle dinamiche d’amicizia tra il novellino Mutande e il capopopolo Malamadre. Ne vien fuori una calibrata vertigine di morte, all’interno della quale l’approccio cronistico snocciolato su diversi piani temporali nell’incipit, cede progressivamente il passo a un tono da fiction strappalacrime. Tanti, latenti difetti, ma anche un innegabile pregio: quello di lasciarsi piacevolmente guardare.

Luca Ruocco

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