Sinossi: Dopo decenni d’incomprensioni e liti con la madre Arabella, dovuti a un modo di vedere e affrontare la vita che da bambino non poteva accettare, Sid è chiamato a tornare alle sue radici. Dalla Torino savoiarda sarà costretto a spostarsi nell’allegra e naïf comunità pugliese in cui si trova Arabella. Ma il vero viaggio all’interno della vita e dei ricordi della madre e degli amici che hanno colorato le giornate della sua infanzia, faranno capire a Sid che l’amore di una mamma può avere mille sfumature e che la stessa Arabella è stata una, dieci, cento donne differenti. Tutte generose, tutte valorose. È stata la regista, la femme fatale, l’amica, la fondatrice dell’arena cinematografica e dei suoi festival, l’anima del paesino nel quale vive da anni. Sid, però, ha conosciuto e capito la vera natura di quell’ammaliante e brillante figura troppo tardi. Eppure Arabella neppure in questo caso si comporterà in maniera banale. Anzi, sarà proprio lei a stuzzicare, rimbrottare e guidare suo figlio alla scoperta di que la figura tanto combattuta e poliedrica.
Recensione: Chi era Annabella Miscuglio? Dopo aver effettuato alcune ricerche, chi scrive viene a sapere che fu una figura di punta del femminismo italiano, tra i fondatori del mitico Filmstudio di Roma, oltre che realizzatrice di cortometraggi sperimentali di ricerca sulla luce, sulla forma e sul colore, divulgati in tutto il mondo. Scrisse inoltre alcuni interessanti testi (“Pier Paolo Pasolini”, “Il ruolo dell’immagine femminile nel testo filmico”, “Veronique, ovvero come nasce uno scandalo nazionale” e “La donna nel cinema comico italiano”) e, infine, realizzò un film per la televisione A.A.A. Offresi, che smascherava la doppia morale, i vizi e le debolezze dei clienti della prostituzione, e, per la prima volta, considerava e descriveva la prostituta come una donna sfruttata, causando all’autrice non pochi problemi giudiziari.
La premessa è necessaria, perché l’ultimo film di Emanuela Piovano, L’eta dell’oro, che si rifà all’omonimo libro di Francesca Romana Massaro e Silvana Silvestri, affronta il personaggio che vuole rievocare attraverso un tormentato rapporto madre-figlio, omettendo di fornire allo spettatore quelle indicazioni minime per orientarlo, e, dunque, si assiste a un susseguirsi di situazioni che, prive di una premessa e di una contestualizzazione adeguate, non riescono mai a tenere desta l’attenzione dello spettatore, che fatica ad appassionarsi a una storia che scorre asfittica sullo schermo. Probabilmente ciò si deve imputare al coinvolgimento diretto della regista, che, avendo conosciuto e frequentato Annabella Miscuglio, non è riuscita a mantenere la distanza necessaria per tracciarne i contorni, e, purtroppo, il risultato è una narrazione criptica, che, a parte la questione dell’arena cinematografica (gestita dalla stessa Miscuglio) che diviene metafora del cinema come dispositivo e liturgia, si avvolge su se stessa in un intimismo sterile e decisamente poco avvincente. Possiamo capire le intenzioni delle Piovano, ovvero cercare di non cadere nei cliché di un certa tendenza che propone in chiave retorica taluni personaggi, però non si può omettere di fornire allo spettatore i necessari appigli per renderlo partecipe di una storia. Questa supposizione nasce dalla considerazione che il precedente film della regista, Le stelle inquiete, che raccontava un pezzo di vita della famosa filosofa Simone Weil, aveva un regime narrativo più ortodosso, probabilmente perché c’era più distacco, e, dunque, l’insieme risultava un gradevole affresco di un’importante figura del pensiero occidentale.
Ad aggravare ulteriormente il quadro complessivo interviene una sceneggiatura dai dialoghi fiacchi, farraginosi, che rendono insufficienti le prestazione degli attori, prima fra tutti una Laura Morante, che, con un parrucchetta brizzolata e gli occhi cerchiati, pare lì quasi per caso, non entrando mai veramente nel suo ruolo; per non parlare di Giulio Scarpati, che forse, si perdoni la punta di cattiveria, farebbe bene a dedicarsi completamente all’horror vacui delle fiction televisive.
Insomma, un confuso zibaldone abbastanza noioso, il cui unico pregio è quella della durata contenuta che consente allo spettatore di uscire integro dalla sala. Chi scrive non ama infierire (né sparare sulla croce rossa), però talvolta è proprio necessario stigmatizzare alcune scelte davvero infelici. Rimane inalterata la stima per Emanuela Piovano che, non ne abbiamo dubbi, è in grado di realizzare opere certamente più significative.
Luca Biscontini