È un vero fiume in piena William Friedkin, ospite del Lucca Film Festival che domenica 3 aprile lo ha omaggiato con il Premio alla Carriera in occasione della proiezione sul grande schermo de Il Salario della Paura, uno dei suoi film di culto che purtroppo si rivelò un fragoroso flop al momento della sua uscita per poi essere rivalutato da critica e pubblico solo qualche anno dopo. Lunedì mattina è stato protagonista di un’intensa e appassionante masterclass, durante la quale è rimasto quasi sempre in piedi, dimostrandosi estremamente loquace e istrionico oltre che in ottima forma. Mai banale o scontato, il regista di Cruising, L’esorcista e Il braccio violento della legge (di cui ama molto il titolo italiano), si è concesso al suo pubblico con grande generosità, catturandone l’attenzione in modo brillante e spesso anche divertente. Gran parte dei film che ho realizzato sono sulla realtà, un aspetto fondamentale nel mio cinema. È molto più semplice filmare la realtà e riprodurla così com’è piuttosto che realizzare film onirici come faceva Federico Fellini. Io non possiedo la sua immaginazione ma un giorno spero di realizzare dei film che abbiano almeno la metà della maestria di quelli che ha girato nel corso della sua carriera. Rivolgendosi a chi tra il pubblico sogna di girare un film lo esorta a lavorare sulla propria immaginazione piuttosto che copiare da altre opere.
L’Esorcista per me è una sorta di documentario, è basato su un fatto realmente accaduto ad un ragazzino di Silver Spring, nel Maryland, nel 1949. Esistono ancora i diari con le testimonianze dei medici, dei preti e dei pazienti che hanno assistito alla possessione del ragazzo. Ho realizzato il film credendo fermamente che quei fatti fossero realmente accaduti poco più di vent’anni prima. Torna spesso su Fellini durante la masterclass (il giorno dopo a Viareggio è in programma la versione restaurata di Amarcord presentata proprio da Friedkin). I suoi film sono più reali della realtà perché parlano dell’essenza dell’uomo. Quand’ero giovane ho visto tanto cinema italiano che adesso non arriva quasi più nelle sale americane.
Riguardo all’avvento del digitale il cineasta statunitense ha le idee ben chiare: ho girato i miei ultimi due film, Bug e Killer Joe, con macchine digitali meravigliose e incredibili. Non ritengo che dobbiamo ostinarci a girare film in 35mm. La pellicola è delicata, si graffia, si rompe, prende polvere, si deteriora. Il digitale è già il presente, non rappresenta il futuro. Col digitale i colori si mantengono intatti e inalterati nel corso degli anni mentre con la pellicola diventano slavati. Anche il processo di stampa della pellicola è estremamente imperfetto, sottoposto a variabili difficili da controllare o prevedere come l’acqua presente nel liquido di sviluppo o l’elettricità dei macchinari.
Tra i suoi autori preferiti Friedkin cita Buster Keaton: è stato uno dei più grandi registi di sempre, ci sono sei-sette scene d’inseguimento nei suoi film che fanno sembrare le mie (a detta di chi scrive e non solo semplicemente magistrali, basti pensare all’inseguimento contromano in Vivere e morire a Los Angeles o all’inseguimento del treno in Il braccio violento della legge) amatoriali. Per fortuna non avevo ancora visto questi inseguimenti prima di girare Il braccio violento della legge altrimenti non l’avrei mai fatto.
Impagabile e ammaliante per ogni amante del cinema il suo aneddoto in merito all’intervista realizzata nel 1974 a Fritz Lang. Quando venni a sapere che Lang viveva a Los Angeles mi procurai il suo numero di telefono e lo chiamai per chiedergli di poterlo intervistare. Mi trattò in malo modo, mi disse che non aveva idea di chi fossi e riagganciò. Qualche giorno dopo fu lui a cercarmi, mi disse che si era informato sul mio conto e che mi avrebbe incontrato. Decisi col suo permesso di filmare l’intervista che rimase poi a prendere polvere nel mio garage. Diversi anni dopo, nel 2003, fui invitato dal Torino Film Festival che aveva intenzione di dedicarmi una retrospettiva e gli organizzatori mi chiesero notizie dell’intervista a Lang. Fu l’occasione per visionare e montare il materiale che avevo girato quasi trent’anni prima e che fino ad allora era rimasto nel mio garage. Nell’intervista Lang mi raccontò diversi episodi della sua vita, ad esempio mi parlò del suo incontro con Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich. In seguito alla realizzazione di alcuni film sul dottor Mabuse, un personaggio che aveva delle forti somiglianze e analogie con Hitler, Lang fu convocato al Ministero. Dopo aver percorso un corridoio interminabile arrivò nell’ufficio – a dir poco enorme – di Goebbels e venne fatto accomodare su una sedia davanti alla sua scrivania, vuota, sistemata sopra una pedana in modo che fosse costretto a guardare il ministro dal basso in alto. Quando Goebbels entrò Lang si rese conto che era un uomo di bassa statura che zoppicava vistosamente. Con una certa sorpresa, visto che pensava di essere stato convocato per essere punito a causa dei suoi film, il ministro gli fece sapere che sia lui che il Fuhrer adoravano le sue opere e lo ritenevano il più grande regista tedesco. Quando gli venne proposto di realizzare dei film commissionati dal Terzo Reich, Lang non poté trattenersi dal dire che sua madre era ebrea. Dopo un attimo di silenzio Goebbels lo fissò e gli disse: Herr Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo. Lang salutò il ministro e quella sera stessa scappò dalla Germania.
Nel prosieguo dell’incontro alla domanda sulla sua mancata partecipazione alla seconda stagione di True Detective Friedkin ha risposto che aveva rifiutato di girarla dopo aver letto la sceneggiatura perché – strano a dirsi – non sentiva alcuna connessione col suo cinema. Veniamo poi a sapere che non ha mai visto i seguiti de L’Esorcista e Il Braccio violento della legge che a suo avviso sono stati fatti unicamente per fare cassa e che il suo genere preferito è nientedimeno che il musical! Mi sarebbe piaciuto dirigere dei musical, i miei film preferiti sono Un americano a Parigi, Spettacolo di varietà, Cantando sotto la pioggia. Purtroppo quel tipo di musica è via via sparita, sostituita da altri generi come il rap e il rock, poco adatti per film romantici e musicali.
È interessante sentirlo parlare del ruolo della musica nei suoi lavori: per quanto mi riguarda la colonna sonora è completamente separata dalla lavorazione del film, non voglio che la musica suggerisca al pubblico che emozioni deve provare durante la visione. Il suono ha un’importanza vitale nei miei film, ne L’esorcista abbiamo usato un portafogli usurato con all’interno delle carte di credito rotte e lo abbiamo piegato più volte vicino a un microfono per ottenere l’effetto desiderato per la scena in cui la testa della ragazzina gira di 360°. Per Cruising (uno dei suoi film più controversi e criticati) ho utilizzato le musiche di un quartetto d’archi di Luigi Boccherini, ottenendo un contrasto abbastanza disturbante se rapportato alle immagini, crude e violente, di alcune sequenze. Per Il salario della paura mi sono avvalso delle musiche dei Tangerine Dream che all’epoca erano decisamente innovative. Per Vivere e morire a Los Angeles invece ho optato per i Wang Chung. Non ho mai chiesto di comporre le musiche dopo aver visto i miei lavori, mi sono sempre limitato a dare qualche riferimento e coordinata sul tipo di film che stavo realizzando.
In chiusura il grande regista americano ha parlato dei generi che vanno per la maggiore oggigiorno nell’industria hollywoodiana. Ogni generazione ha il proprio cinema di riferimento, i giovani adesso amano molto i cinecomics: Batman, Superman, Antman, Stupidman! Personalmente non sono affatto interessato a questo tipo di cinema ma è quello che va per la maggiore in questi anni. La tecnologia odierna, basata in larga parte su un uso massiccio degli effetti speciali, toglie spazio e importanza alla storia e ai personaggi. L’unica speranza, per il bene del cinema, è che in futuro la tecnologia torni ad essere al servizio della storia che si vuole raccontare e dei suoi personaggi.
Nel congedarsi a fine incontro Friedkin ci svela un piccolo segreto: deve prendere un aereo per Roma dove incontrerà Padre Amort, un vero esorcista che sembra abbia apprezzato molto il suo film di culto girato nel 1973 che negli anni ha continuato (e continuerà) a terrorizzare e inquietare generazioni intere di spettatori.
Boris Schumacher