L’industria dello spettacolo ha più difetti che pregi, e, nonostante possa sembrare paradossale, vi sono film meritevoli che passano in sordina senza creare chissà quale eco, poi però, lentamente, si riconoscono i segni di un principio di hype. Quotidiani, mensili, trimestrali, news, fanno il proprio dovere: informano di un’uscita anziché di un’altra, ma ciòa volte non basta; alcune storie non sono pronte a incontrare gli occhi di perfetti sconosciuti, bensì hanno bisogno di tempo per maturare, diventare appetibili e raggiungere uno status, un equilibrio visivo che spesso si intona con lo stato d’animo dello spettatore, è questo il caso di Mon Roi – Il mio re (2015) di Maïwenn, candidato alla Palma d’Oro dello scorso Festival di Cannes e vincitore della migliore interpretazione femminile per Emmanuelle Bercot – a dimostrazione di quanto detto basta guardare l’incasso totale in Italia, secondo l’ultima rilevazione di MYmovies.it di circa €511.000, insomma, un incasso tutto sommato buono.
Mon Roi è il racconto di una storia complessa narrata in modo articolato, seppure ineccepibilmente inscenata, non siamo di fronte la solita relazione di coppia, bensì dinanzi una “vera” storia d’amore, d’odio, disordine, affetto, antipatia, sesso, amicizia, disequilibri vari e attese, ci si trova intrappolati nei rigidi fili di invisibili marionette: l’eros e il thanatos, i quali fanno a pugni con la bravura di Vincent Cassel alias Georgio “il re degli stronzi” come si diverte a definirsi, carismatico, libertino e abile manipolatore di sentimenti tra opulenza, piaceri materiali e non, una caricatura dell’uomo contemporaneo che trova una spiegazione poiché dietro la macchina da presa vi è una regista donna. Una conoscenza che si fa relazione, matrimonio e divorzio al contempo, una formula correttamente elaborata da un montaggio che avanza e indietreggia seguendo diversi passaggi mentali – la storia comincia con la protagonista Tony ricoverata in un centro di riabilitazione dopo un grave infortunio al ginocchio, la quale ricorda la sua storia d’amore senza mai risultare stereotipata, scontata e mielosa, tutt’al più scanzonata, caotica e irritante – che scandiscono i tempi giusti per apprezzare le pause, i silenzi, la fotografia e i quadri narrativi.
Essenziali le frasi di una bravissima Bercot, qui di seguito riportate – “Non bisogna aver più nulla da perdere per amare senza riserve, bisogna aver superato le vette più alte per avere il coraggio di buttarsi, bisogna aver attraversato crolli e tempeste spaventose, per essere insieme in quel momento. Bisogna aver vissuto così tanto, perduto così tanto, e così tante volte, per non perdere più niente con te. L’amore non è niente quando è nuovo, pulito, puro. L’amore prima della tempesta non è una scelta; è un ordine. Quando sopravviene l’evento, l’incidente, l’opportunità, bisogna esserci. In piedi. Trovare le parole, il gesto, lo sguardo. Si amore mio, quando sarà il momento, conta su di me. Non ti abbandonerò, io ci sarò. E allora, ve lo assicuro, noi saremo i vincitori!” – una sintesi, una chiave di lettura nelle mani dello spettatore il quale forse, dovrebbe avvicinarsi all’idea che una relazione, qualunque essa sia, è il “non-luogo” ideale per acquisire una necessaria consapevolezza di se stessi per muovere, così, i primi passi verso il nostro io che si perpetua nelle scelte quotidiane. Mon Roi non lascia spazio ai sogni, anzi, li allontana, è diretto come una delusione irreparabile, si serve di un linguaggio per invocarne un altro: l’amore come atto di necessità per vivere la vita reale nel suo costante rumore. Il film incornicia i sentimenti o meglio gli attimi di questi, per comunicare una libertà ormai diventata prigione – Georgio non cambia stile di vita e Tony è troppo fragile per capire fin da subito che quell’avventura, divenuta storia e dipendenza, non la porta in nessun altro luogo se non in se stessa per capire, in fondo, che la vita è come un’onda favorevole o meno, ma pur sempre un’oscillazione in un percorso scritto da qualcuno e pianificato chissà dove. In conclusione, c’è un messaggio pop che irrompe dentro e fuori lo schermo: “È andata, è andata così…”, come canta l’ultimo successo di Loredana Berté, è andata così la vita e non resta che inseguirla.
Uno degli ultimi titoli interessanti da recuperare: il 6 aprile esce il dvd, distribuito da Videa CDE.
Alessandro Cutrona