Buon esordio quello della regista turca, naturalizzata francese, Deniz Gamze Ergüven: Mustang, passato in rassegna durante l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, e soprattutto al Festival di Cannes dell’anno scorso nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, ha ottenuto vari consensi e premi, quali, tra gli altri, l’European Film Award, quattro premi César e un premio Goya per il miglior film europeo. La giovane regista (1978) dimostra una certa maturità di sguardo nel raccontare una vicenda che avrebbe potuto, se mal architettata, scivolare nei prevedibili toni della retorica, non aggiungendo nulla all’acceso dibattito sullo stato attuale dei rapporti tra i sessi. Infatti è proprio questa la forza del film, ovvero non tanto la storia rappresentata, che pur affascina lo spettatore nella misura in cui lo convoca a una decisa presa di posizione, ma nell’aver alluso in maniera decisa al modello alternativo operativo nei paesi occidentali.
Ma andiamo per gradi. Il film di Ergüven mette in scena, in un piccolo villaggio turco a più di mille chilometri dall’emancipata Istanbul, la vita di cinque sorelle che dopo aver terminato l’anno scolastico si lanciano in un gioioso festeggiamento con alcuni loro coetanei compagni di scuola. La notizia arriva alla nonna delle fanciulle, la quale, adirata per lo ‘scandalo’ dato dalle nipoti, le segrega in casa sottoponendole a delle noiosissime sessioni di economia domestica. Le ragazze, appena adolescenti, sono piene di vita, vorrebbero, in totale buona fede, vivere spensieratamente la loro età, comprese quelle inevitabili prime pulsioni amorose che tale fase dell’esistenza normalmente comporta. Ma la nonna e lo zio (veniamo a sapere che hanno perduto i genitori) già vogliono instradarle al matrimonio, mettendole a disposizione di coloro che si dimostreranno più degni (ai loro occhi ovviamente) di chiederne la mano. Due sorelle, quelle più grandi, vengono così indirizzate (l’unica cosa da salvare in questo frangente è il suggestivo rituale turco delle nozze, con la sposa ricoperta di uno sfavillante velo rosso, e le belle musiche con le danze popolari). Le restanti tre, ancora troppo giovani, vengono letteralmente recluse in casa (lo zio fa impiantare delle grate di ferro alle finestre e tutt’intorno al muro che costeggia il caseggiato). Poi, un episodio drammatico funesta la storia: la sorella più grande delle tre rimaste viene promessa in sposa a un ragazzo che non ama; il giorno delle nozze per la disperazione si spara. Sentiamo un colpo di pistola e subito dopo assistiamo alla sepoltura della ragazza. Le altre due, di cui una ancora bambina, rimangono sole. Sarà la più piccola a trovare la forza di spezzare questa catena di prevaricazione e sofferenza, trovando, per la prima volta, l’ausilio di un giovane uomo, che condurrà le due fuggiasche alla stazione dei pullman diretti a Istanbul.
Ciò che viene messo in gioco con questo interessante film è proprio la visione dello spettatore occidentale che, di primo acchito, assume una posizione di superiorità psicologica nei confronti della vicenda raccontata, e, contemporaneamente, di condanna per un mondo stigmatizzato come antiquato e retrogrado. Il problema sorge quando, ad un’analisi più attenta, l’emancipazione sessuale gaiamente sventolata nei confronti di una realtà repressa risulta, anch’essa, intrisa di retorica, laddove la crisi generalizzata dei rapporti lascia emergere l’evidente fragilità di una visione rivendicante un’autorevolezza che, evidentemente, non le spetta. Ai matrimoni forzati viene opposto un modello culturale debolissimo, che, per tale ragione, non può costituire una valida alternativa. Il solipsismo della società liquida, con la conseguente desertificazione dei rapporti, non può permettersi il lusso di assumere un atteggiamento giudicante nei confronti di un dispositivo morale che, seppur anacronistico, cerca eroicamente e goffamente di salvare e mantenere il valore di un’unione. Ciò che viene messo sotto i riflettori dalla brava regista è, dunque, il problema della relazione tout court, sollevando una questione decisiva che necessita di una valutazione che esorbita i limiti della ragione, laddove un Evento Amoroso eccede la nostra capacità di riportarlo nello griglia dello scibile e comporta la messa in gioco di una variabile etica non calcolabile. Pertanto Mustang è un film che non dà risposte ma pone una domanda, probabilmente giusta. Sta allo spettatore (a quello occidentale) fare la necessaria autocritica per tentare di ‘balbettare’ una soluzione, di farfugliare il futuro, non bollando fulmineamente la realtà sfilata sullo schermo, piuttosto instaurando con essa un rapporto dialettico al fine di elaborare una proficua sintesi. Un film necessario, dunque, che merita un’attenta visione.
Pubblicato da Lucky Red e distribuito da CG Entertainment, Mustang è disponibile in dvd in formato 2.35:1 con audio italiano e originale con sottotitoli.
Luca Biscontini