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Cinema italiano visto da Milano: Bangland di Lorenzo Berghella

Bangland è un film riuscito, una scommessa vinta, l’opera prima di un giovane regista che mostra coraggio e ambizione. Lorenzo Berghella, classe 1990, firma questo piccolo gioiellino che si colloca nel genere del graphic novel; un terreno decisamente atipico nel panorama italiano

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Presentato Lunedi 7 Marzo al Concorso “Rivelazioni” del festival Il Cinema italiano visto da Milano, Bangland è l’opera prima di Lorenzo Berghella.

Una città marcia, una vera Sin City sperduta in un’America distopica, dove il vizio più torbido si annida dietro ogni angolo e tutte le autorità, dal semplice poliziotto fino ai vertici del potere, sono irrimediabilmente corrotte. Un copione visto tante, forse troppe volte. Eppure Bangland è un film riuscito, una scommessa vinta, l’opera prima di un giovane regista che mostra coraggio e ambizione. Lorenzo Berghella, classe 1990, firma questo piccolo gioiellino che si colloca nel genere del graphic novel; un terreno decisamente atipico nel panorama italiano.

La genesi del film è un cortometraggio scritto e diretto da Berghella durante il suo percorso di studi alla I.F.A. (International Film Academy) di Pescara. Il cortometraggio si è poi sviluppato in una web series intitolata Too Bad e andata in onda su Capital TV e Repubblica.it. Alessandro e Cristiano Di Felice, fondatori della I.F.A. e della casa di produzione Ro’film, mostrano Too Bad a Gianluca Arcopinto che ne fiuta immediatamente l’originalità e il potenziale. Il suo intervento è decisivo per la realizzazione del progetto che adotterà in seguito l’indovinato titolo di Bangland.  Oltre a curare tutti gli aspetti visivi, dalla fotografia al design dei personaggi, il giovane regista si è reso protagonista di un piccolo record. Bangland infatti, è il primo film di animazione disegnato, fotogramma per fotogramma, da un singolo animatore senza l’apporto di una squadra.

Autore dunque in tutto e per tutto, Berghella intavola una storia dagli aspetti paradossali, irriverente e provocatoria. Si inventa un’America in cui Steven Spielberg è stato eletto presidente e ha dichiarato guerra al Mahaba, un fantomatico stato africano. Una panoramica noir che segue le vicende di molteplici personaggi le cui vite si intrecciano nello spazio claustrofobico della metropoli Bangland. Uno strozzino irlandese che si trasforma in giustiziere della notte, un predicatore religioso che si affida alla mafia per eliminare i suoi nemici, finti terroristi, reduci di guerra disadattati e pericolosi…

Questi alcuni degli abitanti che popolano una città dominata da violenza e paranoia dove alla vigilia delle elezioni che potrebbero porre fine all’amministrazione Spielberg la tensione sale fino all’inevitabile epilogo. Bangland non nasconde le sue metafore, al contrario, le esaspera, le ricalca sconfinando quasi nel grottesco ed è questa la sua forza. Berghella mette in scena tutti i cliché del genere, un’operazione rischiosa ma abilmente portata a termine dall’autore che spazia fra diverse tonalità, dalla satira al thriller d’azione, danzando su un sottile equilibrio senza mai tuttavia cadere nel banale. Il regista gioca con il genere, lo irride talvolta, si diverte a contaminare il graphic novel con elementi estranei, e si diverte anche il pubblico. Alcune trovate; ad esempio bugs bunny eroinomane che supplica lo strozzino o dei soldati americani che crivellano un povero bimbo del Mahaba colpevole di giocare con un ramoscello che potrebbe essere “un’arma di distruzione di massa”, sono, nella loro assurdità, esilaranti. Non si è mai riso cosi con Frank Miller, ma d’altronde con Spielberg presidente degli Stati Uniti tutto è possibile. Con questo sguardo sincretico e dissacrante il regista prende di petto molti temi di stringente attualità come le guerre nel Medio Oriente, il terrorismo, la religione, i mass media ..tessendo tutto in un unico puzzle che rende Bangland un’opera pienamente postmoderna. Se l’aspetto visivo è sicuramente una delle note più liete del film, alcune pecche si possono riscontrare nella narrazione talvolta eccessivamente frammentaria (non a caso deriva da una web series), che penalizza lo sviluppo di alcuni personaggi su cui sarebbe stato interessante approfondire. Anche il sonoro in certi punti, non è all’altezza delle immagini. Ma con i novantamila euro spesi per il film, che il produttore Alessandro Di Felice, presente in sala, ha definito sorridendo “cifra inutile”, era difficile fare di più. Una menzione è d’obbligo anche per la bellissima colonna sonora curata da Fabio D’Onofrio (ex allievo I.F.A.), dove spicca una versione di House of the Rising Sun che rimanda alla Las Vegas senz’anima di Casinò (Martin Scorsese, 1995).

Lorenzo Berghella dimostra con questa opera prima di essere un disegnatore con stile da vendere e un regista, nonostante la giovanissima età, pronto per sfide più grandi. Da quella città pazzesca, strampalata, assolutamente folle che è Bangland ne esce fuori un’America guerrafondaia, violenta e pornografica, contaminata da un razzismo che sfocia tutto il suo odio nei pestaggi della polizia a danno dei neri…ma è solo un cartone animato, giusto?

Emilio Emma

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