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Da Uomo a Uomo

Andrzej Zulawski: il ricordo

Avevamo incontrato il regista Andrzej Zulawski solo due anni fa. Un regista ed un uomo straordinario. Fu, quella giornata, un’esperienza importante, ricca di una conversazione bellissima, come tra due vecchi amici, semplicemente. Si era parlato certamente tanto di cinema, ma anche di altro, delle varie situazioni tristi che si possono incontrare girando il mondo. Andrzej Zulawski provava davvero tanta tristezza e tanta disperazione per come andavano e per come ancora vanno le cose nel mondo

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Avevamo incontrato il regista Andrzej Zulawski solo due anni fa. Un regista ed un uomo straordinario. Fu, quella giornata, un’esperienza importante, ricca di una conversazione bellissima, come tra due vecchi amici, semplicemente.  Si era parlato certamente tanto di cinema, ma anche di altro, delle varie situazioni tristi che si possono incontrare girando il mondo, ad esempio, come faceva lui, o che, semplicemente, si potevano ascoltare o leggere sui giornali. Andrzej Zulawski provava davvero tanta tristezza e tanta disperazione per come andavano e per come ancora vanno le cose nel mondo. Anche della sua Polonia non aveva, tutto sommato, un ricordo felice. L’ha sempre amata, certo, come ognuno ama la sua terra, ma, forse, come ha sempre pensato e ce lo ha anche detto, da lei, anzi, dagli uomini della sua terra, in fondo, non era stato mai troppo amato. Dopo anni di lontananza dalla Polonia – la sua vita artistica più brillante certamente l’ha vissuta a Parigi – era tornato in patria. Forse, proprio per morire. Una morte che è sopraggiunta il 17 febbraio scorso.

Andrzej Zulawsky è stato un regista davvero formidabile al quale la critica aveva però riservato da sempre una condizione di limbo. Lui stesso riconosceva apertamente di avere inseguito un modello di cinema davvero “troppo personale”. Noi abbiamo sempre pensato innanzitutto che i suoi film erano stati scritti e concepiti come delle opere letterarie, proprio come se fossero destinati alla tipografia piuttosto che alla macchina da presa. Forse non sbagliamo neppure a pensarla così perché, come ci ha ricordato Andrzej Zulawski, cinema e letteratura sono state da sempre le sue passioni più forti, tanto è vero che ci sono stati periodi in cui le due cose si contendevano il campo, quasi invadendosi a vicenda. Molte volte la sua sofferenza più grande è stata la decisione da prendere in merito all’espressione da dare alla sua opera. Ed infatti i suoi film sono stati nettamente nutriti dalla letteratura, così come le sue scritture invece sono state nutrite da immagini effettive. Oggi basta sfogliare il suo ultimo volume, Sette piccoli film che parlano di musica e ne fanno uno solo per avere il senso di questo. Il libro, tra l’altro, è stato voluto in Italia, anzi addirittura imposto al mercato editoriale, in maniera anche testarda, e non c’è che da ringraziarlo per questo,  dal regista  Luigi Cozzi, che ne ha curato anche personalmente l’edizione per la Profondo Rosso Edizioni.

Torniamo al cinema di Andrzej Zulawski. Personalmente ho cominciato ad amare Andrzej Zulawski negli anni settanta, in realtà, confessiamolo, perché fan sfegatato, nel periodo, di un attore come Fabio Testi.  Fabio Testi era stato  nel 1975  l’interprete principale, e bravissimo, del film di Zulawski, L’importante è amare, dove era lo splendido protagonista insieme ad una bellissima ed intensa  Romy SchneiderL’importante è amare l’ho trovato subito irresistibile, bellissimo, girato poi con una tecnica narrativa assolutamente intrigante per il cinema del periodo. Poi Zulawski ci piaceva perché sapeva davvero spogliare le donne. Come pochi al cinema, davvero, con rara maestria e generosità. Ed era già un motivo assoluto di grande attrazione per i sedicenni del momento. Dopo abbiamo saputo anche cogliere al volo, e venerare di Andrzej Zulawski, il suo lato eccessivo, violento, irregolare, delirante. Tutti estremi caratteri del grande cinema. E Zulawski era in buona compagnia nel frattempo, con Alexander Tarkovsky, Dusan Makaveyev, Beni Montresor. L’importante è amare mi aveva entusiasmato già alla prima visione: film davvero godibile, primo commento all’uscita della sala, un racconto pianificato alla meraviglia su una struttura assolutamente melodrammatica. Pur non amando all’eccesso il melodramma, ma in realtà nemmeno così drasticamente rifiutato, ricordo, il film rispettava una cornice decisamente spettacolare, in cui anche i sottintesi assoluti,  l’angoscia, il dolore, il male assoluto, erano resi in maniera prepotente ed intellegibile.

C’era già un assoluto preludio all’inquietudine, al buio, al terrore, temi che poi Andrzwj Zulawski ha affrontato in maniera sempre più estrema, sempre più decisa, come ad esempio nel suo fantastico Possession (1982), in cui tutti questi elementi erano gestiti, finalmente, sotto la cupa tensione di un film decisamente horror. Possession e L’importante è amare, due titoli che restano tra i più visti in Italia dei film di Zulawski, alla radice del loro tessuto narrativo, costituiscono proprio, e radicano anzi,  un processo decisamente umano, ma angoscioso, malefico, doloroso, perverso. La prima produzione di Andrzej Zulawski, La terza parte della notte (1972),  era stata possibile visionarla comunque (non rammentiamo uscite regolari nei circuiti commerciali del cinema) solo attraverso (e dopo la conferma de L’importante è amare) le felici programmazioni degli immensi cinema d’essai, molto attivi negli anni settanta, una politica culturale proprio alla ricerca di film altrimenti negati dai circuiti commerciali regolari, dai cinema degli esercenti-mercanti per intenderci. Anzi, per la precisione storica, la visione de La terza parte della notte fu possibile solo perché resa possbile da un’iniziativa culturale promossa dal partito radicale del periodo, era il 1976 (oggi avvertiamo nettamente una forte tristezza pensando al declino culturale,  politico ed umano di quel glorioso partito). Ma ormai è. Il seminario in programma, conseguenza della proiezione al film La terza parte della notte, era speso proprio a favore di un excursus sulla vita politica e culturale di Andrzej Zulawski, un artista non certo benvoluto in patria, la Polonia degli anni settanta. Insomma con La terza parte della notte Andrzej Zulawski aveva scosso e turbato, in fondo, le coscienze del potere polacco, con la messa in scena, semplicemente, di quello che era l’adattamento cinematografico di un episodio della lotta antinazista, un racconto del papà di Andrzej,  lo scrittore Mirozlaw Zulawski, un testo basato naturalmente sulla verità della sua esperienza personale. La rappresentazione degli orrori nazisti era così estrema, dilatata, stravolta, da sembrare quasi che, da un’assoluta verità storica, Zulawski invece ne aveva tratto, in definitiva, una trama da film  horror, proprio al limite della più pura invenzione. Uno stile altamente fuorviante, che disturbava decisamente in pieno “le intelligenze del regime”. Una genialità assoluta, e per questo il potere cominciò a temerne, di Zulawski,  proprio l’intelligenza artistica.

Ed il secondo film, Diabel (Il diavolo) (1973), che non si potrà mai vedere proiettato in nessun contesto, nazionale ed internazionale, gli costerà effettivamente l’ esilio forzato in occidente. Insomma il cinema di Zulawski in patria è stato sempre tacciato di essere, semplicemente, contro il sistema totalitario. Decisamente una drastica e palese vendetta del sistema di potere. La stessa sorte poi è toccata ad un altro film, Sul globo d’argento (1977), un film che Zulawskj aveva cominciato a girare in Polonia ma che non riuscirà a terminare nella sua terra. Questo titolo è un film che Zulawski, in patria, non riuscirà nemmeno a terminare, anzi lo ha dovuto proprio abbandonare. Sul globo d’argento come ci ha ricordato, in quell’incontro, lo stesso  Zulawski  è tornato in vita solo nel 1988, rimontato con immagini fisse e con alcune sequenze girate ex-novo, perché il film era stato conservato, insieme alle scenografie e ad alcuni oggetti di scena, da alcuni  tecnici che avevano aiutato il regista nella realizzazione in Polonia. Ma Sul globo d’argento (una sceneggiatura tratta da una trilogia di libri del prozio di Zulawski, che racconta di una missione terrestre in fuga su un altro pianeta, sempre alla ricerca della libertà) resterà in definitiva un film per sempre sconosciuto. Siamo, in fondo, forse, anche per questi contesti drammatici, alla vigilia della filmografia più conosciuta di Andrzej Zulawski,  siamo al suo cinema migliore, certamente il più compiuto, anche produttivamente: i già citati L’importante è amare e Possession, film quest’ultimo che ha rilanciato Zulawski nel mercato internazionale. Poi, a seguire, Zulawski gira La Femme publique, 1984, L’amore balordo, 1985, La sciamana, 1997, La Fidelitè, 1999.

Ci ha raccontato Andrzej Zulawski, nella splendida estate dell’incontro e rispondendo alle nostre domande:  “la genesi di Possession? Il film del mio rilancio internazionale?  Ebbene, Possession era un film a cui pensavo da molti anni, da quando ero quasi ostaggio in Polonia. Quando mi sono ritrovato in America, dopo le mie vicissitudini in patria, ho convinto un produttore americano spiegandogli semplicemente la trama in questo senso: il film che voglio girare è la storia di una donna che fa all’amore con una piovra. Così ho convinto il produttore americano a versarmi un milione e mezzo di dollari sull’unghia, così, davvero semplicemente”. Ed oggi, Andrzej Zulawski?: “oggi sono uno scrittore, mi definisco uno scrittore del mio tempo. Il cinema in fondo è anche una conseguenza, poi certamente continua ad essere una grande passione. Poi, dal mio punto di vista, sento che c’è un altro motivo per fare il cinema: attraverso l’obiettivo della macchina da presa sento davvero di poter comunicare onestamente i miei eccessi, i miei deliri, i miei incubi. Con la scrittura invece non rinuncio al privilegio di poter davvero ragionare. Obiettivi sempre presenti:  la politica, gli uomini, la cultura”. Dunque il cinema non è una capitolo passato dalla biografia di Zulawski?:  “certamente no, tanto che ho allo studio un film da realizzare quanto prima, almeno lo spero. Credo di intitolarlo Cosmos”.

Andrzej Zulawski è stato un artista ostinatamente votato davvero alla dismisura, narratore di un mondo in cui restavano predominanti “la corruzione di una classe e la perfidia di una cultura”. Anche questa convinzione, pensiamo, ha fatto concorso affinché  Andrzej Zulawski  preferisse, negli ultimi anni, e proprio nello specifico nel cinema, il silenzio. Il silenzio alle ipotesi varie di compromesso.

Giovanni Berardi

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