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Festival di Berlino 66: Boris without Beatrice di Denise Côté

Denise Côté racconta il dentro e fuori del cambiamento di un uomo orgoglioso, senza riuscire ad evitare di essere così tanto esplicito quando si tratta di rappresentare il tumulto interiore del protagonista

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L’Hybris è per gli antichi greci la tracotanza dell’uomo che, convinto della propria potenza, si ribella arrogante contro l’ordine costituito suscitando l’ira divina. L’hybris, topos della tragedia greca, è proprio ciò che non manca a Boris Malinovsky (Kames Hyndman), un altezzoso e superbo manager in una città del Quebec. Lo vediamo acquistare costosi capi, tenere un fermo discorso di commiato davanti al suo team, rivendicare per l’ennesima volta una richiesta davanti al sindaco e ai suoi concittadini.

Il borioso Boris, questa figura magnetica e onnipresente sullo schermo, è il protagonista di una tragedia calata in una sorta di thriller post-moderno. L’amata moglie (interpretata da Simone-Élise Girard) e donna di successo nel governo canadese, ha una misteriosa depressione a causa della quale Boris decide di allontanarsi dal lavoro e ritirarsi con lei nella foresta per favorire la sua guarigione. Ma se i suoi sentimenti verso di lei sembrano sinceri, e ce ne rendiamo conto dai ricordi da lui evocati, nella pratica Boris fa davvero poco per lei, impegnato com’è a sollazzarsi ora con una collega, ora con la giovane badante della moglie. Figlio distante, padre assente e marito fedifrago, Boris ha dell’irrisolto con le donne della sua vita.

Denise Côté ricorre al surreale come sostegno piuttosto didascalico alla proiezione del dramma psicologico dell’uomo, lasciando ben poco all’immaginazione. Si serve della mise en scene nella messa in scena – ad esempio quando Boris va a trovare la figlia e i suoi due coinquilini stanno provando i passi di una tragedia – per creare quella catarsi necessaria alla salvezza di Boris, e quindi di Beatrice. Perché come gli spiega un misterioso uomo (Denis Lavant, attore-performer feticcio di Leos Carax) che chiede di incontrarlo nella foresta nel cuore della notte, se vuole strappare l’amata moglie a questa misteriosa malattia deve cambiare.

Il regista del raffinato Vic + Flo Saw a Bear (in concorso alla Berlinale nel 2013), equilibrio tra narrazione di genere e d’atmosfera, racconta il dentro e fuori del cambiamento di un uomo orgoglioso, senza riuscire ad evitare di essere così tanto esplicito quando si tratta di rappresentare il tumulto interiore del protagonista.

Francesca Vantaggiato

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