Dopo l’esordio alla regia con One Night Husband che ebbe la sua premiere alla Berlinale nel 2003, la tailandese Pimpaka Towira conferma il suo talento davanti alla critica e al pubblico internazionali con The Island Funeral, approdato a Rotterdam con un importante riconoscimento al Tokyo International Film Festival.
Ci sono buddisti, musulmani di Bangkok e musulmani del sud della Tailandia. E poi c’è l’isola del titolo, dove “non ci sono parti”. Cosi suona nelle parole della zia la posizione degli abitanti della terra remota immersa nella giungla, una terra di “romantico idealismo” e di “impossibile utopia”. Laila, insieme al fratello Zugood e al suo amico, partono da Bangkok verso il sud diretti a Pattani alla ricerca di una zia i cui ultimi ricordi risalgono all’infanzia della ragazza. A differenza dell’amico, Laila e Zugood sono musulmani, meno estremisti dei credenti del sud. Laila non porta il velo, il suo abbigliamento e modi sono piuttosto casual, dettagli che i due ragazzi non tarderanno a farle notare. Durante il viaggio le tensioni all’interno del trio crescono, l’amico guarda e mostra le news sugli atti di violenza politica esplosi in tutto il Paese, le proteste antigovernative hanno messo a ferro e fuoco Bangkok e nel sud i conflitti tra esercito e separatisti sono più aspri che mai.
Il cinema di Towira si affida allo sguardo femminile per leggere i fatti e addentrarsi nelle fratture di un Paese, concede al carattere femminile la sensibilità e la forza di afferrare la complessità delle circostanze. Leila, testarda, libera e determinata non si lascia trascinare nello stato di paura da cui i compagni di viaggio si sono lasciati avviluppare, in particolar modo l’amico, il cui pregiudizio verso l’altra religione del Paese si palese in diverse occasioni. Come ipnotizzata, procede anche quando nel cuore della notte pensa di aver visto scappare una donna nuda in catene, si perde svariate volte, si vede costretta ad affidarsi a uno sconosciuto per trovare il paese dove vive la zia, e di nuovo ad un altro sconosciuto, un traghettatore, mandatole dalla zia per imboccare la via del mare e raggiungerla. L’approdo sull’isola non poteva essere più mistico, eppure così reale. La natura rigogliosa della giungla prende il posto delle strade polverose, mentre un cadavere viene portato in processione secondo un rituale locale, libero dalle convenzione delle confessioni praticate nella terra dilaniata dai conflitti sociali, politici e religiosi. La libertà e la pacifica convivenza delle differenze sembrano caratterizzare questo luogo singolare destinato a soccombere per mano dell’uomo stesso, incapace di accettarne la natura indipendente. Allegoria arricchita di simboli radicati nella credenza popolare, The Island Funeral mette la potenza dell’immagine e dell’immaginario a servizio dell’idea dell’uomo come creatura capace e in dovere di decidere con consapevolezza.
Francesca Vantaggiato