Tre evasi, dopo aver vagato per la città alla ricerca di un luogo dove nascondersi in attesa che una complice li raggiunga per portargli i soldi necessari a proseguire la fuga, scelgono di fermarsi presso la casa di una famiglia borghese-tipo americana, prendendone in ostaggio tutti i componenti. Humphrey Bogart, il capo, duro e spietato, e gli altri due, il fratello, forse il più assennato, e un violento e poco intelligente omone dai modi rudi, scandiscono un panorama psicologico alternativo che si sovrappone – anzi sarebbe meglio dire sovrasta – a quello lineare e ragionevole di un nucleo che, a metà degli anni cinquanta, incarnava perfettamente l’immaginario americano di benessere e serenità. Il padre, interpretato dal due volte premio Oscar Fredric March, costituisce l’ottimo contrappunto alla figura tetra e arida di Bogart, e il regista di Vacanze romane (1953) e Ben – Hur (1959), William Wyler, allestisce una precisa messa in scena dove i due caratteri giungono a uno scontro frontale, in cui ciascuno dei rispettivi equilibri viene messo fortemente discussione.
Ore disperate, tratto dall’omonimo romanzo di Joseph Hayes, che ne ha curato anche il soggetto e la sceneggiatura, è un film per niente scontato, e, pur essendo ascrivibile al genere poliziesco, rivela un lavoro di caratterizzazione dei profili psicologici dei vari personaggi che sfilano sullo schermo molto accurato: Bogart e i suoi chiedono di avere un’altra possibilità, di poter accedere a quella fetta di benessere e felicità che, in un certo senso, spetta anche a loro. Tra l’altro la persona deputata e recapitare la somma di denaro ai tre è proprio la fidanzata di Glenn Griffin (Bogart), a dimostrazione del fatto che, comunque, seppur completamente al di fuori degli schemi consentiti, anche ‘il grande malfattore’ mantiene una vita privata che potrebbe riprendere e svilupparsi, qualora il piano di fuga riesca ad andare in porto. Insomma, in certi momenti, chi scrive lo confessa, si fa il tifo per Bogart, sperando che i tre si mettano in salvo senza che nessuno si faccia male.
Griffin mette spesso in ridicolo i tentativi del padre di trovare un modo per uscire fuori dalla situazione estrema in cui si trova, sbeffeggiando tutto il lavorio mentale che, anche se non espresso verbalmente, emerge chiaramente dai silenzi prolungati, da un’apparente fermezza che tradisce un tormento interno. Ovviamente tutto si conclude con la vittoria dei buoni, eppure il padre accetta il confronto diretto con Griffin, e, di fatti, esita fino all’ultimo a chiamare la polizia, per evitare delle rappresaglie nei confronti dei suoi famigliari, ma anche perché, nel profondo, spera di giungere a una resa dei conti finale, in cui trovarsi di fronte a chi ha osato mettere in discussione i valori cui da sempre è ispirata la propria vita.
Il film è girato quasi tutto in un interno, ma Wyler si produce in una regia dinamica e i 108 minuti di visione scorrono piacevolmente. Un classico, dunque, da rivedere. Michael Cimino realizza un remake nel 1990 con Mickey Rourke nel ruolo di Bogart.
Pubblicato da Sinister Film e distribuito da CG Entertainment Ore disperate è disponibile in dvd con audio originale sottotitolato e in italiano, corredato da galleria fotografica.
Luca Biscontini