Arriva nelle sale italiane dal 27 Gennaio Point break, remake del film diretto da Kathryn Bigelow nel 1991.
Sinossi: Johnny Utah (Luke Bracey), amante degli sport estremi, ha un’esperienza sconvolgente: durante una scatenata gara motociclistica assiste alla morte del suo più caro amico. Dopo qualche anno decide di diventare agente dell’FBI e mettere al servizio della nazione le sue peculiari capacità. Come sua prima prova deve cercare di infiltrarsi in un gruppo di uomini che, capeggiati da Bodhi (Edgar Ramirez) sono sospettati di crimini particolari, tutti caratterizzati dalla temerarietà degli interventi.
Recensione: Dietro le loro performance, compare un codice etico/ecologico, “Le otto prove di Ono Ozaki”, una sorta di escalation di esperienze fisiche e in contatto con la natura, che sembra alludere a una missione superiore che trascende ogni crimine. Effetti speciali a tutto campo su panorami mozzafiato. Tra mare e neve tra rocce e cielo. Niente sembra impossibile a questi atleti che provano di volta in volta a superare se stessi. Una delle caratteristiche dei colpi è quella che dopo le rapine, spettacolari e fantastiche, la banda lascia il denaro ai poveri. Basta poco, però, per sovvertire questa premessa che avrebbe potuto dare sviluppi interessanti. Nonostante le iniziali aspettative, basate sulle apparenti “buone intenzioni” dei quattro uomini, che appaiono come dei novelli Robin Hood che prendono ai ricchi per dare ai poveri, il film alla fine delude. Gli sport estremi e coloro che si relazionano con essi sono il vero protagonista di questa pellicola.
La ricerca del gruppo non ha finalità altruistiche ma è essenzialmente una sfida che ciascuno vive individualmente, e chi muore, cercando di perseguire la meta, viene salutato dai colleghi con freddezza ai limiti del disinteresse. Anche l’unica protagonista femminile, Teresa Palmer, (Samsara) non rivela niente d’interessante come personaggio e non incide nella dinamica della vicenda. Il messaggio che ne consegue è essenzialmente negativo. Improvvisamente la sceneggiatura vira di bordo, incentrando la storia su un’egotica necessità del capobanda Bodhi, diminutivo di Bodhisattva (ma che di lui non ha proprio nulla), di superare i propri limiti fisici e psicologici andando necessariamente incontro alla debacle finale. “Le otto prove di Ono Ozaki” non sono affatto sufficienti a giustificare omicidi e violenza che percorrono l’ultima parte della carriera della banda e che non salvano i protagonisti da una dimensione di violenza gratuita e assolutamente poco epica. Gli alti concetti e gli ideali non sono che una copertura per un’alienazione profonda della mente. Corretta la regia di Ericson Core che non a caso per molti anni si è dedicato alla fotografia e che, anche in questo caso, consegna un prodotto assolutamente impeccabile.
Alessandra Cesselon