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Incontro con Alejandro González Iñárritu e Leonardo DiCaprio per Revenant – Redivivo

Alejandro González Iñárritu e Leonardo DiCaprio sono a Roma per il lancio di Revenant – Redivivo. Sebbene il tempo a disposizione per le domande dei giornalisti non sia molto, i due appaiono soddisfatti e molto esaustivi nelle risposte. È evidente la voglia di spiegare un lavoro che è stato lungo ed estenuante e che adesso smette di essere soltanto loro per passare definitivamente al vaglio del pubblico.

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Revenant – Redivivo arriva oggi nelle sale italiane, sulla scia delle dodici nomination appena ottenute e Alejandro González Iñárritu e Leonardo DiCaprio sono a Roma per il lancio del film.

Sebbene il tempo a disposizione per le domande dei giornalisti non sia molto, i due appaiono soddisfatti e molto esaustivi nelle risposte. È evidente la voglia di spiegare un lavoro che è stato lungo ed estenuante e che adesso smette di essere soltanto loro per passare definitivamente  al vaglio del pubblico.

Cominciamo da Alejandro. Da un punto di vista visivo, in Revenant, è molto evidente la mano di Emmanuel Lubezki. Vediamo tanto di quello che questo grande direttore della fotografia ha fatto per altri registi e vorremmo sapere quanto è stata forte la sua influenza.

Alejandro González Iñárritu: Il processo dietro la realizzazione di un film è molto complesso perché coinvolge tanti elementi e reparti artistici. Io ho avuto il privilegio di conoscere Chivo (il soprannome con cui è spesso chiamato Lubezky) quando avevamo entrambi vent’anni e diventammo subito amici. Abbiamo realizzato insieme diversi corti e poi abbiamo lavorato in Birdman. Sono da sempre un suo grande fan e, quando lo invito a partecipare a un mio progetto, la prima cosa di cui parliamo sono gli obiettivi che vorrei raggiungere, per cui la collaborazione nasce comunque da un mio input. Gli parlo di quello che vorrei fare dal punto di vista narrativo ed emotivo.

In un secondo momento, poi, ci sediamo a tavolino e cominciamo ad affrontare gli aspetti tecnici.

Il tutto è un processo che richiede moltissimo tempo, proprio per cercare di esplorare l’esecuzione, l’idea filosofica o, se vogliamo, la visione del film che abbiamo in mente. Una volta decisi gli strumenti da utilizzare, pensiamo a come procedere per realizzare il film. Molti fanno riferimento agli storyboard, mentre noi cerchiamo invece di trovare un luogo e, una volta lì, cominciamo a sperimentare. Quindi io cerco di lavorare in anticipo su tutti gli aspetti che mi serviranno proprio per rappresentare la tensione drammatica, ma ovviamente, poi, il contributo tecnico di Chivo è eccezionale. Lui ha un modo di muovere la macchina da presa e di decidere le esposizioni che è davvero incredibile. La sua conoscenza dell’uso delle luci è qualcosa di fantastico, così come il suo ritmo. Comunque, ogni movimento che vedi nel film è frutto di un lavoro che è stato fatto almeno sei mesi prima.

Sono rarissimi i film in cui ci sia una percezione così forte della macchina da presa, offuscata dall’alito del protagonista come da quello dell’orso, macchiata  di sangue, colpita raggi di sole. È corretto interpretarlo come un espediente per far sentire lo spettatore ancora più dentro la pellicola?

Leonardo DiCaprio: Ciò che vedi nel film – il mio respiro che appanna l’obiettivo, il sangue che lo sporca – è il nostro tentativo di permetterti di entrare in contatto profondo e farti percepire ciò che a livello viscerale stanno vivendo i personaggi. La capacità di Alejandro e Chivo è stata proprio questa: consentirti di entrare a far parte di questo mondo così naturale. Revenant potrebbe quasi essere definito neorealismo; un docudrama in cui lo spettatore ha la possibilità di fondersi – senza percepire alcun elemento di distacco – con i sentimenti più profondi del protagonista e, al contempo, con questi paesaggi così grandiosi. È qualcosa che io ho percepito sin dalla prima volta che ho cominciato a parlare del film con Alejandro e credo di non aver mai recitato in un film in cui ci fosse una così evidente padronanza del mestiere. Una visione di paesaggi così maestosi e, allo stesso tempo, la percezione così diretta di quelli che sono i sentimenti più profondi e intimi dei personaggi.

Alejandro González Iñárritu: Quando ho iniziato questo progetto, il mio obiettivo primario era proprio ricreare la sensazione che in genere danno i documentari. Volevo che gli animali e i paesaggi apparissero come in tempo reale, come se noi fossimo presenti lì mentre le cose accadevano. Se avessi girato questo film cinque anni fa, prima ancora di girare Birdman, utilizzando la tecnologia disponibile all’epoca, sicuramente non sarei riuscito a realizzarlo in questo modo. Lo scopo era proprio di portare fisicamente lì lo spettatore, creare una sorta di soggettiva che inglobasse l’idea di un film a quella del documentario. In tal senso mi ha colpito il titolo di un giornale che, parlando di Revenant, lo descriveva come National Leographic. Vuol dire che questa cosa è arrivata.

Leonardo, una componente di sfida è evidente in ogni nuovo ruolo che approcci. Cosa ti ha lasciato questa particolare sfida e quanto credi che un eventuale Oscar possa aggiungere a tutto questo.

Leonardo DiCaprio: La storia di Hugh Glass è una di quelle classiche storie che venivano raccontate intorno al fuoco, storie di uomini di frontiera che cercano di dominare la natura. Racconta però anche dell’avidità dell’uomo che saccheggia l’ambiente cercando di trarne quante più risorse possibili, anche a scapito delle popolazioni che vi abitano. Quest’anno poi, oltre a Revenant, ho realizzato anche un film sul cambiamento climatico con cui ho potuto toccare con mano le trasformazioni che anche un aumento di un solo grado di temperatura può avere sull’ambiente in cui viviamo. Se sommo quindi queste due esperienze, unite al fatto che questo appena passato sia stato l’anno più caldo in assoluto da un punto di vista meteorologico, oltre che l’anno in cui finalmente, con la COP21, tutte le Nazioni si sono unite per cercare di trovare una soluzione al problema del cambiamento climatico, il 2015 acquista un forte valore simbolico.

Per quanto riguarda il discorso dell’Oscar, ovviamente siamo molto felici che il nostro film abbia avuto così tante nomination. Revenant per me, più che un semplice film, rappresenta un viaggio fatto insieme ad Alejandro in queste terre così selvagge per un anno intero della mia vita. È un capitolo della mia vita in cui ho riversato moltissimo impegno ed è ovvio che ricevere un riconoscimento per questo sarebbe importante. Certo, il film non lo abbiamo fatto per i premi e non è che, mentre reciti, pensi mai alla possibilità di vincere un Oscar. Quello che vogliamo è che il pubblico possa andare a vedere film come questo e se un Oscar può convincere gli Studios che vale la pena finanziare film più coraggiosi, allora può essere importante. Alejandro e Chivo hanno realizzato qualcosa di mai visto prima, un’epopea artistica su larga scala che credo non sia mai stata realizzata e spero risvegli nel pubblico la voglia di vedere qualcosa di diverso.

Revenant è, a suo modo, una sorta di film western. Quali sono state, se ce ne sono, le principali influenze di quel genere sulla regia?

Alejandro González Iñárritu: In realtà il film che avevo in mente non era un western in senso stretto. Se devo parlarti di influenze, i principali punti di riferimento sono stati Andrej Rublëv di Tarkovskij, Dersu Uzala di Akira Kurosawa, Aguirre e Fitzcarraldo di Herzog e Apocalypse Now. Tutti film molto epici ma che, allo stesso tempo, hanno una dimensione estremamente spirituale nel trattare i personaggi ed è proprio questo l’obiettivo che volevo raggiungere con Revenant. Credo che il mio film, più che a un western, assomigli a un viaggio fisico e spirituale, ambientato tra l’altro in un epoca in cui il West non esisteva ancora.

Fabio Giusti

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