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Little Sister

Little Sister non è semplicemente un buon film, pieno di alcune tipiche qualità nipponiche, ma soprattutto l’ennesima conferma di come il Giappone sia l’unico Paese veramente moderno dell’Asia

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Sinossi: Tre sorelle – Sachi, Yoshino e Chika – vivono insieme in una vecchia casa nella città di Kamakura. Alla morte del padre, che le aveva abbandonate 15 anni fa, le tre donne si mettono in viaggio per andare al suo funerale in campagna e conoscere la sorellastra adolescente, la timida Suzu. Immediatamente conquistate dalla giovane orfana, la invitano a vivere con loro. La ragazzina accetta entusiasta, e per le quattro sorelle comincia una nuova vita di gioiose scoperte…

Recensione: Dopo il suggestivo Le ricette della Signora Toku (2015) di Naomi Kawase, la cui protagonista (Kirin Kiki) figura pure in una piccola parte in questa pellicola, anche l’ultimo film di Hirokazu Koreeda conferma come la cinematografia d’autore nipponica stia dando timidi segnali di una ricerca di stampo antimoderno. La storia in questione dà ampio spazio alla natura, alla ritualità dei pasti, al grande potere aggregativo degli alcolici – in questo caso è la ricetta di famiglia del liquore di prugne – il tutto narrato nell’antica città di Kamakura, non molto lontana da Tōkyō. Scordatevi, però, la stereotipata immagine della grande metropoli del Sol Levante; in Little Sister non vi sono grattaceli, né enormi agglomerati urbani, bensì case di legno, stradine di provincia e i personaggi si muovono a piedi o in bicicletta.

La trama pone al centro quattro tipologie diverse dell’odierna donna giapponese, tutte assolutamente autentiche. È comunque un Giappone attuale quello raccontato da Koreeda, lontano dai silenzi di un maestro come Yasujirō Ozu (1903 – 1963). Infatti, il film è molto dialogato, e non introspettivo; cosa che rispecchia fedelmente la nuova modalità comunicativa dei giovani dell’Arcipelago.

I personaggi, anche quelli minori, sono ottimamente caratterizzati, in un’opera che si attesta come una elegia corale della quotidianità del Giappone contemporaneo; in questo ricorda il capolavoro Maison Ikkoku (1980 – 1987) della mangaka Rumiko Takahashi, solo che in quel caso si trattava degli anni ’80, mentre il film di Koreeda è sì, come detto, per alcuni aspetti antimoderno, ma non certo alieno alla società di oggi. Perciò, quella mostrata è la vita di provincia che è possibile trovare in Giappone.

L’ultima pellicola di questo autore-icona di molti cinéphile del cinema del Sol Levante è assai più apprezzabile anche da un pubblico di non appassionati, di quanto non fossero le precedenti. Certo, Koreeda rimane sempre un regista talvolta difficile, incline come è nel proporre – come avviene ugualmente in questo caso – storie lente ed elaborate, dove si incontra una continua riflessione sul significato della esistenza. Ciononostante, questa sua opera è gradevolmente leggera, dove le tematiche che vengono affrontate sono alla fine universali: il lavoro, la famiglia, i doveri verso se stessi e gli altri.

Tirando le somme, Little Sister non è semplicemente un buon film, pieno di alcune tipiche qualità nipponiche: la delicatezza, l’armonia tra l’uomo e la natura, una profonda educazione nei rapporti interpersonali, nonché quella sublimazione della “serena malinconia” che sta alla base del concetto estetico di Wabi-sabi (侘寂), ma soprattutto l’ennesima conferma di come il Giappone sia l’unico Paese veramente moderno dell’Asia. Esso ne è stato pienamente protagonista per più di un secolo, e l’ha in parte persino creata la modernità; ragion per cui, non la subisce, come avviene, ad esempio, per l’Italia. Ed ecco allora che la pellicola di Koreeda non “inciampa” nel qualunquismo globalista, e ci regala una storia tutta al femminile e non femminista. Nella sua personale evoluzione artistica, egli è oramai passato dalla depressione che ha caratterizzato molti suoi lavori, a una raffinata vitalità, quasi come se volesse inconsciamente seguire certi precetti Zen. Il regista ci mostra infatti dei personaggi che mangiano e bevono, parlano e piangono, ci racconta quindi la loro vita, malgrado la storia parta paradossalmente da un lutto, e questo è, ci permettiamo di dirlo, un contrasto tutto giapponese.

Riccardo Rosati

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