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Leone nel basilico

Leone nel basilico non è un film perfetto, il ritmo narrativo è spesso incostante, e alcune trovate lasciano il tempo che trovano, nascono fiacche e anche un po’ pretenziose (il finale felliniano-bunueliano), eppure non si può non riconoscere l’originalità di un’opera che si discosta non poco da una diffusa tendenza del panorama cinematografico italiano attuale

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Arriva nelle sale dal 10 Dicembre Leone nel basilico, ultimo film di Leone Pompucci con Ida Di Benedetto.

Sinossi: Celeste ha circa 60 anni, è vedova e vive in una casa di cura. Un giorno si addormenta nella stazione ferroviaria e viene svegliata da una ragazza che le mette tra le braccia un bimbo e scappa via. Decide di lasciarlo alla polizia, ma la madre ritorna a riprenderselo e finiscono per trascorrere la mattinata insieme, fino a quando Maria non sarà testimone della morte della ragazza. Così l’orgogliosa Maria Celeste si ritroverà a dover salvare quel bambino. E salvando quel bambino salverà se stessa.

Recensione: Chi scrive ha voluto con interesse visionare l’ultimo film di Leone Pompucci, mosso da una curiosità sorta da un precedente lungometraggio del regista romano, Camerieri  (1995), opera probabilmente non esente da difetti – personaggi appena abbozzati, un cinismo troppo violento e forse un po’ gratuito -, che comunque colpiva per l’abilità della messa in scena e la bravura di alcuni fuori classe del cinema italiano come Villaggio, Abatantuono, Antonio Catania e un malinconico Ciccio Ingrassia. C’era in quel film un’aspra critica dell’italianità, dell’abominevole ipocrisia imperante nella famiglia, da sempre caposaldo della vita di un paese arroccato sulle proprie personali vicende a scapito di quella dimensione comunitaria che invece dovrebbe costituirne le fondamenta. Premesso ciò (il legame sentimentale con quel film), con Leone nel basilico ci troviamo di fronte a un storia completamente diversa, una favola contemporanea, in cui disperatamente si cerca di rintracciare, in una Roma agostana e fantasmatica, i resti di un’umanità ridotta a brandelli da una vita che non fa sconti, che lacera, frantuma ogni residuo di speranza, attraverso un quotidiano lavorio di sfaldamento dell’emotività, fatalmente repressa e relegata in qualche luogo nascosto alla vista. Il realismo magico di Pompucci (e di Giovanna Mori, la co-sceneggiatrice) dimostra un coraggio non da poco, se si considera l’alto tasso di surrealismo presente nel film che convoca lo spettatore a connettersi con il flusso interiore della protagonista (interpretata da un’ottima Ida Di Benedetto, coinvolta anche in veste di co-produttrice), colta in un movimento di cambiamento radicale, compiuto attraverso un balzo verso il vuoto, inteso come ultima destinazione possibile per scampare alla miseria di un’esistenza irrimediabilmente compromessa da quegli innumerevoli fallimenti che ne hanno deviato da tempo immemore il corso.

Maria è una donna anziana che si è auto ghettizzata in una casa di cura, millantando di essere ospite di ‘un albergo in cui è servita e riverita’; mente anche sul rapporto con il figlio, che dice di andare a trovare tutte le domeniche, e che invece non vede più da anni. La vediamo vagare nei percorsi sconnessi di una Roma dalle architetture algide, industriali, una città davvero poco accogliente, quasi antonioniana, cotta dal solleone, in cui l’unico gesto possibile è l’assunzione di psicofarmaci per stemperare il drammatico e incombente senso di solitudine. L’incontro con Giulietta (Catrinel Marlon) e il suo dolcissimo figlio, Leone, di pochi mesi, cambia però le cose, e si troverà, suo malgrado, a doversi occupare del piccolo che la snaturata, anche se poetica, madre le molla tra le braccia, defilandosi senza dare alcuna spiegazione. Successivamente le due donne stringono un’inconsueta alleanza, Maria vede in Giulietta se stessa, la possibilità di poter rivivere alcune vitali parti di sé che aveva da tempo riposto nel dimenticatoio. “Dov’è il cuore?”, si chiede Pompucci: da qualche parte, rispondiamo noi, laddove si è smarrita la strada, bisogna rifare il percorso a ritroso e trovare il punto esatto in cui ci si era fermati. E Maria, miracolosamente risorta dalle sue ceneri, grazie all’amore per un bambino di cui si prende cura (la mamma, Giulietta, muore investita da un tram), può finalmente porre fine alla sua esistenza. Dice bene Pompucci: “la morte bisogna meritarsela”, altrimenti non resta quel campo di concentramento che spesso è la vita. Il volto di Ida Di Benedetto è una maschera di dolore e fatica, pare una tela su cui sono drammaticamente vergati i segni di tutto ciò che nel tempo si è subito e a cui si è reagito con una progressiva chiusura, innescando una narrazione menzognera il cui effetto è quello di mummificare un mondo che cova sotto la scorza di una pelle dura come cuoio. Ma alla fine trova magicamente ‘la postura impossibile per morire’, in una spiaggia, davanti al mare, con in braccio Leone. Giunge dunque la morte a far entrare un soggetto nella Storia, a trovargli una collocazione degna, e d’altronde quando si è amato, non è retorica ma la semplicità della verità, si può dire di aver fatto la propria parte.

Leone nel basilico non è un film perfetto, il ritmo narrativo è spesso incostante, e alcune trovate (l’insistere su una certa simbologia che invita lo spettatore a un lavoro di interpretazione) lasciano il tempo che trovano, nascono fiacche e anche un po’ pretenziose (il finale felliniano-bunueliano), eppure non si può non riconoscere l’originalità di un’opera che si discosta non poco da una diffusa tendenza del panorama cinematografico italiano attuale. Promosso, dunque, con riserva.

Luca Biscontini

  • Anno: 2015
  • Durata: 88'
  • Distribuzione: Microcinema
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Leone
  • Data di uscita: 10-December-2015

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