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All’Assalto – Le radici del Rap in italiano

Diretto da Paolo Fazzini e co-prodotto da Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani, All’Assalto – Le radici del Rap in italiano è un’indagine sull’origine del rap nella nostra lingua

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In principio era Jovanotti. No. Allora MTV? Nemmeno. Un reality show? No, non ci siamo proprio. E allora cosa? Oggi rapper italiani troneggiano su gigantografie pubblicitarie, scaldano poltrone nei talent, vendono – tra un tweet e un post su Facebook – milioni di dischi, collezionano followers e fans. Ma da dove vengono, e da dove viene il rap italiano?

Diretto da Paolo Fazzini e co-prodotto da Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani, All’Assalto – Le radici del Rap in italiano è un’indagine sull’origine del rap nella nostra lingua. Si tratta di una fotografia del contesto che ha generato, nei primissimi anni ’90 (dal 1989 al 1994 per la precisione), “la novità più significativa nel panorama musicale italiano dalla fine degli anni ’80 a oggi”, ovvero il rap secondo Fazzini, che non è solo il regista del doc, ma è anche uno dei membri fondatori delle Menti Criminali, gruppo rap di Ascoli Piceno con all’attivo diverse pubblicazioni discografiche.

Se secondo alcuni il rap italiano è “un figlio che non ha padri”, secondo Paolo Fazzini, invece, di padri ne ha eccome, a cominciare dagli Onda Rossa Posse e dal loro “Batti il tuo tempo”, brano che, uscito il 15 giugno 1990, ha segnato la data di nascita delle posse e un punto di non ritorno per la storia della musica nostrana. Nei grandi e nei piccoli centri, in città e in provincia, il rap, “importato” dagli USA e convertito alla lingua italiana perché potesse ritrovare proprio nella parola la sua ragion d’essere – quella della “musica parlata” – diventa, nel giro di pochissimo tempo, voce del dissenso sociale, prende la forma di un’esperienza di militanza politica oltre che di espressione artistica, trova il suo habitat nei centri sociali di tutta l’Italia e proprio nei centri sociali di tutta Italia inizia a sfaccettarsi e a mutare esprimendo la sua essenza di duttilità e fluidità, perché il rap, in fondo, è soprattutto questo: un linguaggio nato per essere rielaborato a seconda dei bisogni di chi lo esprime. I gruppi rap, reggae e raggamuffin degli esordi, i pionieri di questo nuovo modo di fare musica, hanno pian piano conquistato seguito e notorietà sulla scena musicale nazionale grazie alle rime e ai bassi pompati che viaggiavano sulle note della politica, della controinformazione, dell’impegno sociale. C’era volontà di rottura delle regole precostituite, c’era ribellione, indipendenza, e c’era onestà intellettuale. Ma ora è meglio allontanarsi dal discorso sulle origini ideologiche e politico-culturali del genere, discorso pericoloso, in un certo senso, se si pensa a quanto sarebbe facile scadere in una critica cristallizzata sulle le differenze tra passato e presente e imperniata sul retorico quanto proverbiale “dalle stelle alle stalle” (o, nel caso specifico, “dal centro sociale al centro commerciale”). Già, meglio passare oltre.

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Lo sguardo di Fazzini non esita a soffermarsi anche sulle circostanze che hanno favorito lo sviluppo del rap dopo gli esordi, underground ma non certo timidi, di Radio Onda Rossa e di tutti gli altri. Tra le tante, una rilevanza non trascurabile va riscontrata nello sviluppo e nella diffusione in quegli anni della tecnologia musicale. Significativo a questo proposito uno degli interventi di Alberto Piccinini nel film: «Potersi fare i dischi da soli porta al fatto che l’idea dell’autoproduzione improvvisamente non è più una stranezza, uno stare fuori, ma fa sì che le persone che fanno musica, se hanno voglia, possono stare dentro e al centro della trasformazione, della tecnologia e della comunicazione». Piccinini è solo uno dei tanti volti che compaiono nel documentario per dar voce a questo racconto. Con lui troviamo anche Assalti frontali, 99 Posse, Papa Ricky, Sud Sound System, AK47, Menti criminali, Il Generale, David Nerattini, MC Shark, Sa Razza Posse, Lion Horse Posse, Cuba Cabbal, DJ R, DJ Disastro, e molti altri: tutti hanno contribuito a far rivivere nel doc il passato recente degli esordi del rap, un passato non troppo lontano cronologicamente, ma distante anni luce se si considerano la lunga strada percorsa in pochi decenni da questo genere musicale e i profondi cambiamenti e le reinterpretazioni cui è stato sottoposto, sia nella forma sia nel contenuto. Basti pensare alla svolta epocale del 1994, anno in cui esce il primo disco dei Sangue Misto che traccia l’inizio, per molti addetti ai lavori, di un nuovo modo di fare rap, l’hip hop. Questo evento fa da spartiacque tra un “prima” rappresentato dal movimento delle posse e dalla loro impostazione politica, e un “dopo” che impernia il suo spirito e affonda le sue radici nello stile della metrica e nell’atteggiamento hippoppettaro internazionale di matrice soprattutto afro americana. E qui si chiude il cerchio, si conclude il viaggio di All’Assalto.
Il repertorio di Fazzini è fatto di filmati rarissimi e interviste esclusive, e il lavoro del regista diventa ancor più prezioso agli occhi dello spettatore che sappia tenere in mente un dato molto importante: negli anni in questione, ’80 e ’90, non esisteva il digitale, e questo non è soltanto, banalmente, un modo per rimarcare le origini, per così dire, rudimentali del genere musicale in questione, ma vuole anche essere un elogio agli autori che hanno raccolto, trasformato, montato, e in alcuni casi letteralmente riportato alla vita foto stampate e su carta, vhs, cassette, Dat, formati fragili e a rischio.
Insomma, stiamo parlando di un lavoro meticoloso, puntuale e ben fatto sotto tutti i punti di vista, che merita l’attenzione non soltanto della fan-zone del rap italiano, ma anche di tutti coloro che si interessano della storia della musica nostrana e, visto il caso specifico, anche di politica e attualità.

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