Sinossi: Minnesota 1990. Il Detective Bruce Kenner viene chiamato per indagare sul caso di una giovane di nome Angela, che accusa il padre, John Gray, di gravi abusi. Quando John, inaspettatamente e senza avere ricordi, ammette la sua colpa, viene contattato per aiutarlo un noto psicologo, il Dottor Kenneth Raines, il quale lo sottopone ad ipnosi regressiva, ma ciò che verrà scoperto smaschererà un orribile mistero.
Recensione: A distanza di circa sei anni dal suo ultimo lungometraggio Agorà uscito nel 2009 e che deluse critica e pubblico, Alejandro Amenabar ritorna al cinema con Regression, che segna il ritorno del regista cileno alla suspense, il genere che ha segnato il suo debutto cinematografico nel 1996 con il suo primo lungometraggio Tesis. Ispirato a una serie di eventi realmente accaduti negli Stati Uniti durante gli anni Ottanta, il film è sia una riflessione sul male che un’esplorazione delle scorciatoie della mente. È una pellicola che trae le sue influenze prevalentemente dai thriller e dai film horror americani degli anni Settanta: Rosemary’s Baby, L’esorcista che hanno in comune un elemento di moderatezza che il regista voleva che si ricreasse anche qui.
Girato interamente in lingua inglese e con un budget da venti milioni di dollari, il film vanta un cast internazionale di prim’ordine a partire da un bravissimo Ethan Hawke (Training Day e Onora il padre e la madre), Emma Watson (Harry Potter e Bling Ring), Lothaire Bluteau (Jésus de Montréal e Don’t Look Up) e David Dencik (La talpa e Uomini che odiano le donne). Ciò che accende la miccia che poi divampa per tutta la durata del film sono le accuse mosse dall’angelica Angela Gray, la cui testimonianza getta luce su una serie di conflitti di cui nessuno aveva avuto mai il coraggio di parlare. Quando il crimine viene denunciato all’inizio del film, i personaggi si buttano a capofitto in un mondo fatto di messe nere, visioni e corse contro il tempo, per trovare la prova che possa sostenere i loro sospetti e mandare definitivamente i colpevoli in prigione. Tutto si svolge in una piccola comunità del Midwest, la città e gli enormi paesaggi che lo circondano creano un ambiente particolare che offre degli elementi aggiuntivi alla sceneggiatura.
Per tutta la durata del film si assiste a un crescendo di suspense dove lo spettatore si addentra non solo negli oscuri luoghi in cui i riti satanici avrebbero preso luogo, ma attraverso la paura, le visioni e soprattutto la memoria e i ricordi dei protagonisti. Anche la fotografia gioca a favore con una maggioranza di tonalità scure e situazioni claustrofobiche. Un film che vale la pena di vedere anche se siamo ben lontani dall’Amenabar di The Others o di Mare dentro.
Giovanna Savino