Era il 19 novembre 1975 quando uscì uno dei film che fece la storia del cinema: Qualcuno volò sul nido del cuculo per la regia di Milos Forman. Man bassa di premi tra Golden Globe e Oscar (rispettivamente sei e cinque) e campione d’incassi, il film è un ormai un caposaldo del cinema e ancora oggi, seppur a distanza di quarant’anni, ha quel fortissimo impatto emotivo e visivo, quella contemporaneità che lo suggellarono a capolavoro già alla sua prima uscita in sala.
Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore statunitense Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo è incentrato sulla storia di un uomo, Randie P.Murphy (magistralmente interpretato da Jack Nicholson), che dal penitenziario nel quale si trova viene spostato in manicomio: in bilico tra sano e disturbato, tra realtà e finzione, Murphy diventa il paradigma perfetto della condizione umana, tra il bisogno intrinseco di voler infrangere le regole e l’obbligo di dover rispondere a un ordine più grande e potente; e la sua figura fa proprio da ponte tra questi due stati, il primo incarnato dalla follia e dalla vitalità degli altri pazienti, il secondo dalla rigidità dei medici dell’ospedale, soprattutto dell’infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher).
Al di là di qualsiasi lettura, in particolare della tanto dibattuta sequenza finale, il messaggio del film arriverà sempre forte e chiaro: non esiste costrizione alla libertà.
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