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Visioni Fuori Raccordo: Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte (Concorso)

Il vissuto diventa cinema puro, autentico, nella misura in cui si mostra senza sovrastrutture, in un rapporto simmetrico con lo spettatore che può, in tal modo, accedere ad un intenso processo di immedesimazione, attraverso cui guadagnare una catarsi che libera e redime: Danilo Monte con Memorie – In viaggio verso Auschwitz realizza un’opera che prima di essere un documentario è una testimonianza forte, decisa

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Il vissuto diventa cinema puro, autentico, nella misura in cui si mostra senza sovrastrutture, in un rapporto simmetrico con lo spettatore che può, in tal modo, accedere ad un intenso processo di immedesimazione, attraverso cui guadagnare una catarsi che libera e redime: Danilo Monte con Memorie – In viaggio verso Auschwitz realizza un’opera che prima di essere un documentario è una testimonianza forte, decisa, del rapporto con l’amato fratello, Roberto, ragazzo sensibilissimo, intelligente che, proprio in virtù di queste sue qualità, è assai presto incappato in diversi incidenti di percorso (internamento psichiatrico, droga, comunità di recupero), nonostante la giovane età. Danilo, per recuperare il dialogo con il fratello, gli regala un viaggio ad Auschwitz, dato il grande interesse mostrato da quest’ultimo per le vicende che videro per la prima volta nella storia dell’umanità la produzione ordinata, scientifica, antieconomica di morti, un disegno folle che, per il suo eccesso e per la drammatica condizione di coloro che ne furono le vittime, ha sempre destato la più viva attenzione di Roberto. La grande capacità dialettica del ragazzo incanta e confonde, ma ciò che davvero trapela, netta e vivida, è la grande umanità che lo ha reso fragile, privo della forza necessaria per assumersi una quota minima di responsabilità che gli permettesse di condurre una vita più serena, fatta di quotidianità e di quella routine che, seppur esecrabile, rassicura le esistenze della maggior parte di noi. Danilo piazza la sua agile videocamera in qualunque punto, e Roberto talvolta è ripreso a mezzo busto, talvolta di sbieco, talvolta non ne vediamo il volto, ma ciò che costituisce l’elemento di continuità del film, e che dunque gli dona compattezza e unitarietà, è il flusso della sua voce che, ironicamente, disperatamente, provocatoriamente, ci inchioda, invitandoci a una presa di coscienza, e, soprattutto, a innescare un’epochè, una sospensione del giudizio, senza la quale non è dato accedere alla drammatica, ma vitale, narrazione della sua vita. Il viaggio costringe i due fratelli a un confronto di cui, visti gli accesi contrasti, non si può sapere con esattezza l’esito, e il film realizzato da Danilo Monte, oltre ad essere iperrealistico, e al tempo stesso profondamente poetico, costituisce uno strumento fortemente terapeutico per tentare di elaborare, almeno in parte, il difficile rapporto, che per i suoi meccanismi atavici, ancestrali, e quindi sempre operativi, non può essere in nessun modo archiviato.

Si giunge infine ad Auschwitz e, a questo punto, subentra la capacità registica di Monti che con un asciutto, ma sapiente montaggio, su cui innesta le intense parole di Roberto, ci presenta la spettralità del campo di concentramento, mitigata dall’azzurro del cielo di una calda giornata estiva e dal verde brillante dell’erbetta che ricopre tutta l’area interessata; Roberto ci accompagna nei vari ambienti in cui si perpetrò il massacro, e la sua mano che sfiora le pareti delle sale in cui grandi masse di uomini e donne furono eliminate in un sol colpo ci restituisce in un batter d’occhio (potenza dell’immagine) il suo naturale senso di fratellanza con le vittime del disegno d’estirpazione del ‘batterio’ ebraico, ideato per promuovere la ‘grande salute’ del popolo tedesco. Quell’eccesso di immunizzazione comunitaria che configurò il primo grande evento biopolitico della Storia, attraverso la prospettiva resaci da Danilo Monte, acquisisce una nuova valenza nella misura in cui esorta a evitare di ripetere nella quotidianità l’aberrazione di esprimere quei giudizi che fatalmente ghettizzano, umiliano o ‘semplicemente’ feriscono i destinatari, relegandoli ai margini di un tessuto sociale, il nostro, che andrebbe riformato per intero. Un ammonimento, il suo, da tenere sempre a mente. Un cinema semplice, dunque, necessario e poetico.

Luca Biscontini

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