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FESTIVAL DI CINEMA

Ravenna Nightmare Film Festival: Down by Di Leo. Viaggio d’amore alla scoperta di Fernando Di Leo di M. Deborah Farina

Il documentario Down by Di Leo. Viaggio d’amore alla scoperta di Fernando Di Leo di M. Deborah Farina ha conquistato il pubblico più nostalgico del Ravenna Nightmare Film Festival. Una proiezione che ha rievocato una figura importante e un passato burrascoso per il cinema di genere italiano degli anni Settanta.

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Il documentario Down by Di Leo. Viaggio d’amore alla scoperta di Fernando Di Leo di M. Deborah Farina ha conquistato il pubblico più nostalgico del Ravenna Nightmare Film Festival. Una proiezione che ha rievocato una figura importante e un passato burrascoso per il cinema di genere italiano degli anni Settanta.

Difficile riuscire a dimenticare la sequenza de La seduzione (1973) che vede una giovanissima Jenny Tamburi insidiare, con abile gioco di coscia, un attonito Maurice Ronet, o un Gastone Moschin che sferra un gancio destro alla faccia di Barbara Bouchet in Milano calibro 9 (1972), oppure le stupende Lilli Carati e Gloria Guida che ballano scatenate nella Roma della tarda contestazione in Avere vent’anni (1979).

Questi sono solo alcuni esempi che la regista romana M. Deborah Farina, col documentario Down by Di Leo, ha voluto rievocare sullo schermo, tracciando un ritratto profondo e circolare su una delle figure più compiante del cinema bis nostrano. Un personaggio, quello di Di Leo, che ha diviso per anni il pubblico e la critica italiana e solo negli ultimi tempi rivalutato grazie ad alcuni critici e registi. Alternando spezzoni tratti dai suoi film più celebri a interventi di parenti, amici e collaboratori, tra cui la sorella Rita, che ricorda con un pizzico di nostalgia mista a divertimento le avventure amorose del fratello assieme a Renzo Arbore, amico storico e compagno di innumerevoli avventure pugliesi e romane. Barbara Bouchet, Gianni Macchia, Peter Berling, Aris Accornero, Galliano Juso e Pier Paolo Capponi (tra i tanti) completano il quadro, fornendo allo spettatore gustosi e interessanti aneddoti su come Di Leo si comportasse dentro e fuori dal set. Dalle partite a poker con Vittorio Caprioli (suo attore feticcio assieme a Capponi) alle indicazioni anglo-italiane esplicate a Ursula Andress sul set di Colpo in canna (1975), mentre a Lino Banfi si rivolgeva in dialetto apulo-barese. Bisogna però ricordare che Di Leo nasce prima di tutto come intellettuale, capace di cogliere le più delicate sfumature letterarie, filosofiche e storiche catalizzandole in significativi eventi concreti attraverso la settima arte. Basti pensare al tema dell’orgasmo femminile in Brucia, ragazzo brucia o a quello dello stupro di gruppo in I ragazzi del massacro (entrambi del 1969) dove tabù mai affrontati direttamente dalla società italiana venivano mostrati e sottoposti allo sguardo del pubblico senza filtri mediatori. Il realismo era la carta vincente delle sue trame. Pier Paolo Capponi ricorda la scena cult della crocifissione in Diamanti sporchi di sangue (1978) e la sua paura nel dover “operare” come un vero scagnozzo della malavita, la risposta di Di Leo all’insicurezza dell’attore fu: «tu non puoi nemmeno immaginare le violenze che la mafia opera sulle persone».

Il documentario di Farina mette a nudo la figura di uno dei cineasti che ha saputo raccontare in maniera acuta l’excursus di un intero decennio attraverso le sue pellicole (spesso e volentieri definite “di serie b” o “commerciali”) talvolta senza lesinare su contenuti violenti, scabrosi, pruriginosi o cruenti, divenuti nel tempo il leitmotiv della sua estetica filmica, per troppo tempo bistrattata e incompresa. E che ora ha trovato una sua dimensione stabile nella contemporaneità.

Francesco Foschini

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