Opera prima del regista canadese Stephen Dunn e vincitrice del Best Canandian Feature Film all’ultima edizione del Toronto Film Festival, Closet Monster dipinge a tinte tenui e fosche al tempo stesso lo stato d’animo tormentato del giovane protagonista Oscar Madly (Connor Jessup).
Diviso tra una madre (Joanne Kelly) e un padre (Aron Abrams) che si sono separati quando era ancora un ragazzino, Oscar ha scelto cosa vuol fare da grande ma fa molta fatica a capire che uomo vuole essere e con chi percorrere la sua strada; la sua forza è nell’aver trasformato le sue debolezze in un mestiere: i demoni che invadono i suoi incubi e i suoi pensieri di bambino è riuscito a plasmarli e a manipolarli abilmente, fino a volerne fare una professione, quella di truccatore artistico specializzato nell’horror.
Il presente, il sogno di andare a studiare a New York e le sperimentazioni artistiche con la sua amica di sempre (Mary Walsh) si intrecciano con un passato abbozzato, costellato di ricordi violenti che affiorano a fatica ed esplodono con irruenza attraverso immagini che possono ricordare il genere horror (e a tratti anche Videodrome di David Cronenberg) ma che in realtà rappresentano le visioni, gli incubi di un adolescente che è cresciuto da solo e non ha avuto accanto chi lo proteggesse dai mostri.
Un padre “possessivo, infantile e pazzo” e una madre un po’ egoista, che non vede l’ora di tirarsi dietro la porta di casa per rifarsi una nuova vita, Oscar è cresciuto con un criceto (la cui voce nella versione originale del film è quella di Isabella Rossellini) e con i suoi incubi, che ad un certo punto faticano a diventare sogni; Oscar è vittima di quegli incubi e di se stesso, e anche di come lo vorrebbero sua madre e suo padre, completamente ignari della tempesta sentimentale che il giovane sta vivendo.
Sono le immagini-figure retoriche, rese dalla fotografia di Bobby Shore, ad esprimere la speranza di una maggiore consapevolezza di se e delle proprie capacità; proprio le immagini, il loro alternarsi tra la delicatezza e la violenza, fanno da didascalia alle scene romantiche e alle visioni oniriche, ai ricordi d’infanzia fornendo un ulteriore livello di narrazione, che consente allo spettatore di comprendere alcuni sviluppi della storia che potrebbero sembrare poco chiari; mai innaturali né fuori luogo, anche quando sconfinano in altri generi, penetrano come un punteruolo nelle pieghe nascoste della nostra mente e della nostra anima, forse per ricordarci che di demoni nell’armadio (come il closet monster del titolo) ne abbiamo tutti, e la vera sfida è proprio quella di trasformarli in punti di forza. E di non smettere mai di credere nei nostri sogni.
Anna Quaranta