E poi ci sono le storie di Marino che non parla mai e della bambina ucraina e quella del tassista che riporta a casa Nicola, lo vede ubriaco e si fa pagare la corsa due volte. E in mezzo a tutte queste storie c’è quella dell’americana che gira l’Italia vestita da sposa. Un’Italia senza speranze, ma non disperata perché il contrario della speranza certe volte non è la disperazione, ma il fatalismo.
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Per scrivere questa storia mi sono messo seduto nei bar al Quadraro, a Ciampino, a Morena. I bar dei quartieri nei quali vivo.
Sanguineti diceva che la tragedia è possibile quando c’è un alto e un basso, magari un’aristocrazia e un popolo. Oggi l’alto è la grande narrazione che passa attraverso l’informazione, la rete, la tv. Il basso lo trovi nei locali col pranzo a prezzo fisso al capolinea della Metro, tra i muratori che mangiano il pollo e le patate con il quartino di vino al baretto sulla Tuscolana. In questi posti ho scritto il mio film.
Poi sono andato a ascoltare le donne (soprattutto le donne, ma anche gli uomini, ma le donne soprattutto) che hanno avuto un fratello o un figlio o un padre che se n’è andato all’altro mondo dopo aver incontrato un agente in divisa. Storie nelle quali anche la morte diventa leggera, ma il ricordo è un macigno. Le persone passano, ma il ricordo della loro faccia è una scimmia allegra che non scende dalla spalla dei viventi che si incaponiscono a parlarci costantemente.
Tra queste persone ho scritto il mio film.
Il titolo dice tutto. Viva la sposa!
Passa una bellissima donna bionda tra le vite di poveri cristi. Una sposa che fa voltare tutti. Guardare la sposa li aiuta a sopravvivere, ma poi la vita vera è un’altra. Direbbe Wittgenstein che la filosofia è una maniera per distruggere gli idoli. Ma anche un modo per smettere di crearne di nuovi. Eppure… senza idoli facciamo fatica a vivere.
Abbiamo girato per cinque settimane in un chilometro di strade. Poche centinaia di metri in mezzo al Quadraro, quartiere romano, il “nido di vespe” che i tedeschi cercarono di combattere nel ’44. Un posto come tanti altri. Uno di quelli “dove credi che la città finisca, e dove invece ricomincia, nemica, ricomincia per migliaia di volte, con ponti e labirinti, cantieri e sterri, dietro mareggiate di grattacieli, che coprono interi orizzonti”.