Un uomo di mezza età mostra soldi ad un ragazzo, si fa seguire a casa, gli chiede di denudarsi parzialmente e di spalle, mentre lui sta seduto su una poltrona a distanza, senza toccarlo. È Armando, un uomo sui 50 anni, che gestisce un laboratorio di protesi dentali. Adesca giovani ragazzi, gli offre soldi e ripete sempre lo stesso rituale. Vive da solo, ha una sorella e un conto in sospeso con il padre. Il vissuto di Armando è ripetitivo ai limiti della paranoia. L’incontro con Elder, un giovane delinquente adescato in strada, cambia radicalmente la situazione. Il primo approccio omofobo, traumatico e violento, lo porterà a continuare a cercare il ragazzo fino ad innescare un’intimità inaspettata. Elder ha il padre in carcere, un uomo che lo picchiava e che ha ucciso un suo amico. La figura paterna, per entrambi, influenzerà il loro rapporto è ribalterà i ruoli fino al compimento di un atto estremo che condizionerà per sempre le loro vite.
Lorenzo Vigas si è sicuramente ispirato al cinema di Pablo Larrain tanto da aver adottato come protagonista del suo film, il sublime Alfredo Castro. La prima inquadratura di spalle ci ricorda l’indimenticabile Tony Manero.
Il colpo di scena finale lascia inequivocabilmente intendere che non è di sesso che si vuole parlare ma di bisogni emotivi, di trascorsi che possono innescare comportamenti psicopatologici.
Armando non ha moglie, non ha figli, né amici; è schivo.
Lorenzo Vigas, non svela quasi niente di quest’uomo, tranne qualche indizio che sarà definitivamente rivelato solo nell’ultima scena del film.
E nulla sarà più come sembrava, anche il ruolo della preda e del predatore assumerà altre sembianze.
Malinconia, povertà, vite ai margini in una Caracas caotica e impersonale dalla quale proviene il giovane talento Luis Silva.
Il titolo evidenzia il tema della lontananza. Armando desidera, guarda ma non tocca, attende.
Cos’è il desiderio? E se viene soddisfatto? Cosa commette chi lo annulla appagandolo definitivamente?
Esiste una giusta distanza, una distanza fisiologica che non può e non deve essere colmata?
Che reazione può suscitare l’amore in chi non lo ha mai ricevuto?
Leone d’oro alla 72° Mostra D’arte Cinematografica di Venezia
Vince la violenza, l’alienazione, la follia, l’impeto, l’insensatezza.
Vince la veemenza sulla forma autoreferente.
Vince il ruggito che fagocita le stellette dei critici blasonati e incantati da pellicole che si autocelebrano, ormai lontani dalla abilità di lasciarsi inquietare da un cinema altro, diverso, forte, istintivo, fastidioso, indispensabile e invadente.
Vince Aristotele che nella Poetica insegnava le regole di un buon racconto: una trama, un intreccio, uno scioglimento, e punto focale la metabolé, ossia un capovolgimento.
Regole perfettamente applicate nel film Desde Allà di Lorenzo Vigas.
Vincono gli occhi di chi non ha paura di infrangere e di vedere perché “non c’è più bellezza e conforto se non nello sguardo che fissa l’orrore, gli tiene testa, e, nella coscienza irriducibile della negatività, ritiene la possibilità del meglio”, come diceva Adorno.
Vince l’arte di chi sa uscire dal recinto protetto della ragione e usa la propria follia come uno strumento che consente di cogliere lo sfondo irrazionale che ci costituisce; quell’arte che rappresenta la lacerazione, la scissione, il rischio.
Un film intenso, forte, indelebile.
Beatrice Bianchini