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In Sala

Un Mondo fragile (La tierra y la sombra)

Un Mondo fragile (La tierra y la sombra) è un’opera che dimostra una sensibilità rara nel mettere in scena la vita di un popolo ancora strettamente legato alla coltivazione della canna da zucchero, rendendoci partecipi di un mondo arcaico, in cui la civiltà dei consumi non ha definitivamente attecchito

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Sinossi: Il film narra la storia di Alfonso, un vecchio contadino che, dopo diciassette anni, torna dalla sua famiglia per accudire il figlio Gerardo, gravemente malato. Al suo ritorno, ritrova la donna che era un tempo la sua sposa, la giovane nuora e il nipote che non ha mai conosciuto, ma il paesaggio che lo aspetta sembra uno scenario apocalittico: vaste piantagioni di canna da zucchero circondano la casa e un’incessante pioggia di cenere, provocata dai continui incendi per lo sfruttamento delle piantagioni, si abbatte su di loro. L’unica speranza è andare via, ma il forte attaccamento a quella terra rende tutto più difficile. Dopo aver abbandonato la sua famiglia per tanti anni, Alfonso ora cercherà di salvarla.

Recensione: Il cinema sudamericano continua a produrre opere dal forte impatto emotivo, estetico, e, soprattutto, politico. I nuovi cineasti di questa regione dimostrano un’acutezza di sguardo che trova la sua origine nella connotazione fortemente rurale delle storie rappresentate, e la macchina da presa registra, la maggior parte delle volte con estrema sobrietà, il disfacimento di un mondo che, fino a poco tempo prima, costituiva lo zoccolo duro dell’intero panorama antropologico.

Avevamo tessuto le lodi di Vulcano (Ixcanul) del regista guatemalteco  Jayro Bustamante, premiato con l’Orso d’Argento allo scorso Festival di Berlino, e anche con Un Mondo fragile (La tierra y la sombra) dell’esordiente regista colombiano César Acevedo, classe 1987, premiato con la Caméra d’Or nella passata edizione del Festival di Cannes, ci troviamo davanti a un’opera che dimostra una sensibilità rara nel mettere in scena la vita di un popolo ancora strettamente legato alla coltivazione della canna da zucchero, rendendoci partecipi di un mondo arcaico, ancorato a una dimensione sacrale dell’esistenza, in cui la civiltà dei consumi non ha definitivamente attecchito. E Acevedo registra proprio il momento di transizione, la fine di una tradizione, laddove le oltremodo precarie condizioni dei lavoratori della terra, sempre più vessati da una politica di sfruttamento indiscriminata, pongono le premesse per le migrazioni di massa verso le metropoli, foriere di (illusorie?) migliori condizioni di vita. Il regista colombiano riesce a mescolare con una maturità di sguardo che impressiona, vista la giovane età, le questioni di ampio respiro sociale con quelle private, ma altrettanto determinanti, di una famiglia, e siamo spettatori dei piccoli (si fa per dire) drammi che la attraversano.

Gli interpreti scelti non sono attori professionisti, i loro volti svelano un ancestrale rapporto con la terra, con la fatica del lavoro, e la recitazione minimalista, fatta di silenzi, di una gestualità contenuta, calibrata, è perfettamente funzionale a descrivere l’intricata topologia dei rapporti intersoggettivi che si consumano nello spazio angusto di una piccola casa contadina interamente circondata da campi di canna da zucchero. Rifacendosi a pittori naturalisti come Millet  e all’artista visuale statunitense Andrew Wyeth, Acevedo dosa sapientemente la luce  componendo delle inquadrature in cui a predominare sono i colori pastello delle piantagioni, e la macchina da presa indugia spesso sui corpi degli attori che si incastonano, come se ne fossero parte integrante, nel paesaggio.

La narrazione è affidata ai silenzi, al non detto, alle posture dei corpi, ai rapporti tra corpi, e il dramma si consuma senza strepiti, privato di qualsiasi componente fracassona o strappa lacrime. E in tutto ciò c’è spazio anche per la denuncia delle penose condizioni dei lavoratori della terra, mal pagati (spesso non pagati), privati di un’assistenza sanitaria minima, costretti a sfiancanti turni di svariate ore, e le espressioni dei loro volti inquadrate sapientemente da Acevedo durante il tragitto di ritorno a casa sul pullman valgono più di qualunque acceso proclama. La cenere incessante, provocata dai continui incendi appiccati per massimizzare lo sfruttamento delle piantagioni, cade sui volti, sui vestiti, tutto si colora di grigio, il cielo, le case, le persone. E in tutto questo disfacimento la famiglia decide di lasciare la casa dove è sempre vissuta per cercare nuove e migliori condizioni di vita in città; solo la nonna rimane, in un’ultima straziante inquadratura, seduta su una panchina: il suo sguardo è fisso, svuotato, i suoi occhi si chiudono per un istante, giusto il tempo di decretare la fine di un mondo.

Distribuito da Satine Film, Un mondo fragile uscirà nelle sale italiane il 24 Settembre. Un’occasione per confrontarsi ancora con un cinema che sta vivendo un periodo di grazia non trascurabile. Da non perdere.

Luca Biscontini

  • Anno: 2015
  • Durata: 97'
  • Distribuzione: Satine Film
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Colombia, Francia, Paesi Bassi
  • Regia: César Acevedo
  • Data di uscita: 24-September-2015

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