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Venezia 72: Behemoth di Zhao Liang (In Concorso)

Un documentario affidato alla potenza delle immagini e poco alla parola, Behemoth di Zhao Liang si ispira alla Divina Commedia dantesca per mostrare l’inferno delle cave nella regione cinese della Mongolia interna, dove l’estrazione del carbone ha deturpato il paesaggio e ammalato la popolazione

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Un documentario affidato alla potenza delle immagini e poco alla parola, Behemoth di Zhao Liang si ispira alla Divina Commedia dantesca per mostrare l’inferno delle cave nella regione cinese della Mongolia interna, dove l’estrazione del carbone ha deturpato il paesaggio e ammalato la popolazione. “Nel mezzo del cammin di nostra vita” – recita Zhao Liang – un uomo giace nudo in posizione fetale tentando di connettersi con un paradiso agreste oramai profanato dall’inferno delle ruspe e delle miniere.

Behemoth è il mostro biblico, un demone edonistico imbattibile per tutti tranne che per il suo creatore, è un divoratore di montagne. Il demone ingordo è la metafora dell’uomo pronto a ingurgitare e annientare luoghi, paesaggi e l’uomo stesso in nome di un’obbedienza cieca al dio denaro. Behemoth, documentario dedicato alle vittime della miniera, inghiotte la terra con i suoi artigli – le ruspe – e la sua collera – le esplosioni – dopo aver costretto migliaia di mani a setacciare la terra in cerca di beni preziosi da consegnare ai potenti. Si scende nella gola dell’inferno, nelle cave dove il fumo annulla i volti e le polveri riempiono i polmoni di minatori sacrificati a migliaia, uomini che fanno numero e non contano nulla individualmente perché (non) esistenze facilmente rimpiazzabili. Le immagini paradisiache delle pecore sulla montagna sono vinte dai camion trasportatori d’acciaio maledetto verso le immense città fantasma cinesi.

C’è un momento in cui le immagini di poetica brutalità sul lavoro in miniera si annullano in un quadro rosso – come le esplosioni, la lava, il sangue versato e il sole che non riscalda – violento come un’esplosione dopo la quale pian piano riemergono le forme oltraggiate. L’immagine rossa fortemente simbolica è solo una delle tante potentissime ricerche visive su cui la macchina di Liang indugia per imprimere nella retina un dramma lontano e altrimenti silenzioso.

Nell’inferno di Liang, la vita al di fuori della miniera è un purgatorio perenne, un sopravvivere all’inferno del sottosuolo nella speranza di un paradiso irraggiungibile. La contemplazione dell’uomo, avvilito e schiacciato in miniera, nudo rivolto verso un paradiso agreste oramai decomposto e passato, diventa verso la fine una riflessione sui luoghi “paradisiaci” artificiali costruiti dall’uomo per l’uomo. Le città fantasma della Cina, trasfigurazione di un paradiso-palliativo all’usura del sottosuolo, sono vuote, inabitate. La salvezza, per la terra e l’uomo di Liang, non esiste.

Francesca Vantaggiato

  • Anno: 2015
  • Durata: 95'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Cina, Francia
  • Regia: Zhao Liang

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