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Venezia 72: Pecore in erba di Alberto Cavigna (Orizzonti)

Pecore in erba ricostruisce i ventisei anni di Leonardo Zuliani, dall’infanzia al 2006, vissuti oscillando tra le crisi depressive profonde e i successi internazionali, fino alla sua scomparsa

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Così giovane e già ebreo, recitava il titolo di un libro di Moni Ovadia; parafrasandolo, si potrebbe dire così giovane e già antiebreo, per il protagonista del film (opera prima) di Alberto Caviglia.

Perché Leonardo Zuliani (Davide Giordano), occhi grandi e viso innocente, fin da piccolissimo coltiva l’ossessione antisemita e non viene capito da una società che, dalla seconda guerra mondiale in poi, tutela i diritti degli ebrei ad oltranza, e nei decenni a venire, almeno a parole, delle minoranze e delle diversità.  Soprattutto negli anni Ottanta, quelli in cui Leonardo viene addirittura sgridato dalla maestra per i disegni nei quali dileggia il compagno di scuola sfigatello. Fascista dentro, xenofobo e razzista, il piccolo, che ci viene descritto all’inizio della narrazione come un eroe, fatica a trovare comprensione, a scuola e in famiglia. Non ha amici, fin quando non riesce ad inserirsi, adolescente, in un gruppo di suoi pari, i Bulloni, e più avanti in un altro gruppo che è la parodia smaccata dei leghisti. Sì, perché il film è tutto giocato così, sul paradosso e l’iperbole, la satira spintissima, sui giochi di parole che Leonardo padroneggia con genialità, sul rovesciamento surreale dei valori democratici, così smaccato da risultare divertente e divertito, dissacrante dall’inizio alla fine. Perché, insieme a lui o grazie a lui, ciò che prima era inaccettabile si fa norma, e l’odio per le minoranze consuetudine.

Il genere è quello del falso documentario, nel quale compaiono testimonial conosciutissimi nel ruolo di loro stessi. Fabio Fazio accoglie Leonardo in studio e gli porge per prima la domanda più scontata; Sgarbi più Sgarbi di così non potrebbe essere. Prima disprezza il libro di Leonardo, poi lo salva nel contenuto e nella sperimentazione della forma, quando la fama del nostro ragazzo cresce a dismisura. E ancora, sempre coerenti a loro stessi, Carlo Freccero, Corrado Augias, Gianni Canova (a commentare il film sulla vita del fenomeno, di cui il mockumentary trasmette alcune sequenze), Giancarlo de Cataldo (a commentarne il libro).

Strano che lo psichiatra, impegnato con il paziente più difficile della sua carriera, e che non potrebbe non optare per la spiegazione di un’assenza paterna, sia invece l’attore Alberto Di Stasio. E non compaia uno di quegli psicoterapeuti veri che nella realtà avrebbe, e chissà quanto, occupato lo schermo. Il caso  viene studiato anche dalle neuroscienze per stabilire se l’odio verso i più deboli sia già presente nel DNA. Ma il nonno (Omero Antonutti) è un ex-partigiano che vive dei suoi ricordi, la madre una donna delicata che misura il suo affetto con le lasagne, la sorella maggiore anche lei tranquilla, quasi una seconda madre. Forse si tratta di una predestinazione, visto che la nascita di Leonardo, nel 1980,  è preannunciata dall’attentato alla sinagoga di Parigi, che la mamma guarda in televisione mentre si rompono le acque, nella casa di Trastevere.

Pecore in erba ricostruisce i ventisei anni di Leonardo Zuliani, dall’infanzia al 2006, vissuti oscillando tra le crisi depressive profonde e i successi internazionali, fino alla sua scomparsa. Per ricordarlo, sei mesi dopo, la commemorazione: un evento mediatico sconvolgente (con Mentana in diretta per l’Italia, tra il vero e l’imitazione di Crozza, le scritte “Je sui Leonard”, le lacrime dei fans) che fa da cornice alla storia. Difficile da riassumere, da raccontare,  perché è un continuo ed effervescente salto da una scorrettezza ideologica  all’altra. Tanto che Zuliani viene ricordato come attivista dei diritti civili, primo fra tutti, quello di manifestare il proprio pensiero contro gli ebrei.

Alberto Caviglia (assistente alla regia di  Ferzan Özpetek) è un giovane ebreo romano, che ha voluto affrontare il tema serissimo del pregiudizio, secondo lui ancora presente, ridendoci su. Chissà se il pubblico saprà cogliere l’originalità del film, in sala dal 24 settembre.

Margherita Fratantonio

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