La storia dei Puccio, le dinamiche di una famiglia mostruosamente straordinaria, la relazione perversa tra un padre-carnefice e un figlio-vittima, l’Argentina ai tempi dei sequestri: si tratta di El clan, ultima fatica di Pablo Trapero ispirata a una storia vera. Guillermo Francella è Arquimedes Puccio, devoto padre di famiglia invischiato in rapimenti, estorsioni e omicidi per garantire ai suoi una vita stabile e prospera. La famiglia, difficile da definire come luogo sicuro dopo questo film, è tutto per quest’uomo dallo sguardo glaciale, e Trapero rende perfettamente la morbosità del suo attaccamento in una delle prime scene a tavola, quando il pater familias lamenta l’allontanamento dal nido dell’ingrato figlio Maguila. Il dolore insostenibile del genitore esigente viene alleviato intanto dal figlio Alex (Peter Lanzini), il campione della squadra di rugby, a cui spetta l’onere e l’onore di seguire le orme del padre e di accompagnarlo nelle sue operazioni illegali. In un flashforward del 1985 Trapero ci lascia intravedere l’approdo di tali attività ma prima di inoltrarsi nelle oscure trame di questa asfissiante famiglia, ritorna indietro e si concentra sulle presentazioni. L’angolazione prediletta per inquadrare i Puccio è il rapporto padre-figlio, a un certo punto della storia allargato alla triade padre-figli, quando su richiesta di Arquimedes Alex si reca in Nuova Zelanda per riportare a casa Maguila, subito “integrato” nei loschi affari di famiglia. Sorelle e madre restano figure più abbozzate, tant’è che l’intera operazione vacilla tra il ritratto di famiglia e l’indagine dei rapporti di potere/ricerca di approvazione instaurati nella compagine maschile di casa.
Il clan ritratto da Trapero è, in fondo, l’attività di Puccio & Sons, di un padre meschino oltre l’immaginabile che, stravolgendo le regole della sua figura di educatore, persuade i figli all’obbligo di obbedienza al crimine invocando la “sacra” istituzione della famiglia. Non è difficile arrendersi allo sguardo algido, subdolo e ricattatorio di Puccio/Francella, la cui approvazione è fondamentale per il figlio adolescente e assolutamente da evitare per l’avveduto fratello minore Guillermo che partirà senza più far ritorno. Il rock dei Kinks con Sunny Afternoon sottrae all’efferata violenza familiare l’elemento drammatico, la sua eccezionalità, per inserirlo piuttosto in un contesto ordinario per la famiglia e spettacolare per noi.
La predilezione dell’occhio di Trapero per la lotta tra padre e figlio e il tono tragicomico adottato per la trasposizione cinematografica della realtà si esplicitano nell’intenso finale, quando ad Alex il padre-aguzzino si mostrerà in tutto il suo perverso e diabolico orrore in un ultimo scontro che lo porterà a un gesto di ribellione non esattamente riuscito. Abominevole fatto di cronaca a parte, la cui singolarità e follia costituiscono indubbio interesse, il cinema di Trapero resta sospeso tra denuncia, dramma e la sua ridicolizzazione.
Francesca Vantaggiato