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Mad Max: Fury Road in blu ray. Il nuovo punto di riferimento dell’action movie
Signore e signori, eccoci qua, si torna a parlare di Mad Max: Fury Road, l’action movie dell’anno, uscito a metà maggio nelle sale cinematografiche italiane e da poco distribuito (e rivisto) in Blu ray e Blu Ray 3D
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9 anni agoon
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RedazioneIl mio nome è Max, il mio mondo è fuoco e sangue. Un tempo ero un poliziotto, un guerriero di strada in cerca di una giusta causa. Mentre il mondo crollava, ognuno di noi, a modo, suo era a pezzi. Difficile capire chi fosse più folle: io o gli altri. Eccoli che tornano, si insinuano scavando nella materia nera del mio cervello. Ripeto a me stesso che non possono toccarmi: sono morti e da tempo. Sono colui che fugge sia dai vivi che dai morti, inseguito da saprofagi, perseguitato da coloro che non ho saputo proteggere. Esisto così, in questa terra devastata: un uomo, ridotto a un unico istinto… sopravvivere.
Signore e signori, eccoci qua, si torna a parlare di Mad Max: Fury Road, l’action movie dell’anno, uscito a metà maggio nelle sale cinematografiche italiane e da poco distribuito (e rivisto) in Blu ray e Blu Ray 3D. Il film, diretto con incredibile e ritrovata ispirazione da George Miller, autore inoltre della celebre trilogia originaria con protagonista Mel Gibson, ha conquistato fin da subito un po’ tutti, e a ragione, poiché qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio tour de force di immagini, schianti, inseguimenti, colori e personaggi assolutamente giganteschi, esagerati, verrebbe da dire epici, in uno scenario post apocalittico di totale devastazione e desertificazione, dove quel poco di (im)mondo che resta viene, per così dire, governato da un mostruoso tiranno dittatore di nome Immortal Joe, che regna incontrastato nella Cittadella, comunità sorta fra le fitte sabbie del deserto, ai margini della Fury Road.
Un cult bello e fatto, un capolavoro di purissimo cinema che in due ore di corse sfrenate ingoia, mastica e sputa, in un vorace boccone, qualsivoglia film, o saga, del genere degli ultimi quindici anni, su tutti la (troppo) osannata serie Fast and Furious e il suo ultimo capitolo Fast & Furious 7 (2015), di James Wan, come anche qualunque cinecomics dal 2000 a questa parte , mostrando, sul serio, come e quanto sia possibile fare cinema, che sfoci nell’arte, attraverso un genere ed un film facilmente fraintendibili, accumunabili con il blockbuster più pacchiano. George Miller dona nuova linfa all’action, ma in fondo, dona nuova linfa allo stesso cinema con la riproposizione di questo suo personaggio tutto anni ottanta, qui interpretato da un ottimo Tom Hardy più fisico che altro, un vero attore che recita con lo sguardo e con il corpo e dalla furiosa Charlize Theron, altrettanto azzeccata valchiria femminista, in un film che è pura asciuttezza narrativa, un sofisticato balocco diretto con innegabile maestria da un regista settantenne posseduto dall’energia di un giovincello di talento nel pieno della sua euforia artistica. Ma il vecchio Miller di talento ne ha di suo e in Mad Max:Fury Road lo mette in mostra quasi con una rabbia aggraziata, divertita, perché la sua ultima fatica non è solo l’action movie più bello dell’anno, giudizio riduttivo, ma, probabilmente, e fino a questo momento, è l’action movie più bello ed interessante dal 2000 ad oggi, l’opera seminale che alza inesorabilmente gli standard di spettacolarità e incisività, attraverso un’esperienza visiva ed estetica difficilmente superabile e nemmeno accumunabile a molto altro.
Per rendere plausibile tale discorso basterebbe fare un rapido salto all’ indietro e guardare l’action movie, piuttosto saturo, del XI secolo, sicuramente colmo di film piacevoli e spigliati, ma quasi tutti privi di una vera anima, di una vera ragion d’essere, mai veramente memorabili, perché se si escludono il sommo e citazionista Kill Bill (2003) di Quentin Tarantino, opera che travalica qualunque genere, anche lo stesso action, i due bellissimi e super dinamici film indonesiani The Raid (2011), e The Raid 2 (2014), diretti da Gareth Evans, entrambi raffinatissimi nella loro dura grettezza, oppure il notevole e violentissimo 13 Assassins (2010), diretto dal maestro giapponese Takashi Miike, o ancora il divertente e spigliato Pacific Rim (2013), di Guillermo del Toro, o, perché no, il divertissement diretto da Robert Rodriguez e Ethan Maniquis, Machete (2010), abbiamo una lista di vere operazioni mediocri, spacciate per fenomeni cinematografici all’avanguardia, quali gli innumerevoli Transformers, diretti dal re dei fracassoni Michael Bay, il fintissimo e cafonissimo 300 (2007), di Zack Snyder, o il pessimo Attacco al Potere (2013), di Antoine Fuqua, o ancora l’intera saga di Fast and Furious, passando per i vari. Smokin’Aces (2005), di Joe Carnahan, Oblivion (2005), di Joseph Kosinski con Tom Cruise, che lascia per l’occasione la sua saga storica Mission:Impossible, Ghost Rider (2007), di Mark Stevn Johnson e Bangkok Dangerous (2008), di Oxide Pang, entrambi con protagonista il bollito Nicolas Cage, e si potrebbe andare avanti a lungo per accorgersi di un certo palese inflazionismo da parte di un genere ormai, giustamente o meno, schiavo degli effetti speciali e della CGI e sempre più privato di quel gusto tutto artigianale, sporco, imperfetto che andava a rappresentare uno dei punti forti dello suddetto genere.
Mad Max: Fury Road è quindi cinema che si riappropria di se stesso, nella sua forma più pura, quel cinema che strizza l’occhio agli anni settanta/ottanta e all’artigianato, quello di un Walter Hill piuttosto che di un Sam Peckinpah, dei quali ne è un (in)diretto discendente e che limita, chiaramente laddove possibile, l’intervento massiccio dell’invasiva computer grafica, qui confinata ad interventi di pulizia dell’immagine, in favore di un certo realismo di fondo presente in quasi tutte le scene, compreso il pirotecnico e mirabolante inseguimento nella tempesta di sabbia, scena dal prorompente impatto visivo, ma pur sempre deliziata da un certo barocco realismo, proprio perché interamente realizzata dal vivo, con la CGI intervenuta solo in seguito ad apportare i necessari accorgimenti. Un discorso che cozza inesorabilmente con l’interpretazione, a nostro modo di vedere frettolosa, del critico Paolo Mereghetti, che definisce Mad Max: un videogioco che alla lunga tende ad annoiare; no, non è affatto un videogioco, tranello in cui i più distratti potrebbero cadere, e anzi, ne prende solennemente le distanze proprio per interpretazione della storia, che c’è e seppur non continuamente spiegata procede insieme all’azione, e grazie alle scelte registiche, una regia possente e mai stancante che mai e poi mai si permette di annoiare, almeno non a chi si palesa con un volto umano, senza cercare intellettualismi inutili dove non occorrono.
C’è tutto un modo di lavorare, andato perduto negli anni, che ruggisce dietro a quest’opera, dagli stuntman, qui tornati a fare seriamente il loro, sporco, lavoro, alla messa in scena, al perfetto e veloce montaggio di Jason Ballantine e Margaret Sixel, mai videoclippato, ma che dona un suggestivo senso di continuità e ritmo, fino al modo di drammatizzare e narrare la storia, prevalsa dalle immagini e non dai dialoghi; è infatti un dato di fatto come tutto proceda insieme agli schianti, alle esplosioni, alla velocità, alle sensazioni dei protagonisti, senza mai fermarsi nel polveroso deserto africano, meravigliosamente fotografato da John Seale; questa dinamicità, che ingoia ogni didascalismo, è, infondo, la sua originale innovazione, nulla è spiegato e tutto funziona mentre accade, non c’è il solito plot melodrammatico, non c’è il tempo di dialogare fittamente con il fine non dichiarato di chiarire le idee dello spettatore, qui si corre verso un millantato verde che non c’è più e se c’è ci si accorge di averlo già superato. Questa è “solo” l’assurda vicenda di un gruppo di reietti con un carico di bellissime donne sane e fertili che scappano da una spietata tirannia, cercando riscatto e redenzione in un mondo devastato, annullato, assetato e affamato, un mondo che li ha costretti a lottare e li ha ridotti ad un unico istinto, sopravvivere, un mondo che ha perduto tutto il suo fascino.
Eppure, se il mondo di Mad Max: Fury Road ha perso il suo fascino, è proprio il cinema, nella fattispecie il cinema d’azione, grazie a questo film, ad averlo riconquistato. Negli anni a venire si guarderà al film di Miller come un punto di riferimento e faro della nuova frontiera dell’ action movie, con la solida speranza che qualcuno ne afferri, sul serio, la lezione narrativa, e non resti uno sporadico, brillante scossone, simile ad un sasso gettato in un fermo stagno. Ma per ora, prendete e ammiratene tutti.
Manuele Bisturi Berardi