In Sala

Non essere cattivo, l’ultimo, intenso e necessario film del compianto Claudio Caligari

Claudio Caligari se ne va lasciando un segno importante, laddove registra, da acuto fenomenologo quale è sempre stato, il dissolvimento di un modo di essere nel mondo, nella fattispecie di quella piccola fascia di popolazione ancora animata da un verace istinto criminaloide, tenacemente avverso a una deriva che ha prodotto l’annientamento di tutte le forze che remavano contro la normalizzazione

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Sinossi
1995, Ostia. Vittorio e Cesare hanno poco più di vent’anni e non sono solo amici da sempre: sono “fratelli di vita”. Una vita di eccessi: notti in discoteca, macchine potenti, alcool, droghe sintetiche e spaccio di cocaina. Vivono in simbiosi ma hanno anime diverse, entrambi alla ricerca di una loro affermazione. L’iniziazione all’esistenza per loro ha un costo altissimo e Vittorio col tempo inizia a desiderare una vita diversa: incontra Linda e per salvarsi prende le distanze da Cesare, che invece sprofonda inesorabilmente. Si ritrovano qualche tempo dopo e Vittorio cerca di coinvolgere l’amico nel lavoro. Cesare, dopo qualche resistenza, accetta: sembra finalmente intenzionato a cambiare vita, frequenta Viviana (una ex di Vittorio) e sogna di costruire una famiglia insieme a lei. Ancora una volta però il richiamo della strada avrà la meglio sui suoi propositi.

Recensione

Il genocidio culturale che Pier Paolo Pasolini, meglio di chiunque altro, aveva  individuato, dapprima con “l’abiura della trilogia della vita” fino alla realizzazione del terrificante Salò, nonché nell’illuminate raccolta dei suoi ultimi articoli, Lettere Luterane, trova un naturale e definitivo compimento: è scomparso un mondo, quello del sottoproletariato, con la sua cultura, la sua resistenza alla normalizzazione del lavoro, alla colonizzazione del mondo piccolo borghese. Si è definitivamente imposta la tirannia del consumo e anche le piccole sacche residuali di opposizione sono state inesorabilmente sussunte. Tutto giace sotto l’egida del desolante immaginario dello spettacolo del capitale. Claudio Caligari se ne va lasciando un segno importante, laddove registra, da acuto fenomenologo quale è sempre stato, il dissolvimento di un modo di essere nel mondo, nella fattispecie quello di una piccola fascia di popolazione ancora animata da un verace istinto criminaloide, tenacemente avverso a una deriva che ha prodotto l’annientamento di tutte le forze che remavano contro la normalizzazione. Delinquere rimaneva, come per il Vittorio di Accattone, interpretato magistralmente da Franco Citti, l’unica alternativa alla nuova schiavitù.

E per omaggiare il capolavoro di Pasolini, e riportare alla memoria il suo film di culto, Amore Tossico (1983), Caligari ha chiamato i due protagonisti di Non essere cattivo Vittorio (Alessandro Borghi) e Cesare (Luca Marinelli), due ragazzi di strada, uniti da una profonda amicizia e  da uno spirito ribelle che li preserva, finché può, dalla catena di montaggio, dalla, avrebbe detto Carmelo Bene, tirannia delle plebi. Dagli anni Ottanta, in cui era l’eroina a creare un mondo con le sue modalità, cadenze e vizi, si passa agli ancor più miserabili anni Novanta, caratterizzati dalla diffusione di nuove droghe, dalla cocaina alle più svariate pasticche. Eppure in tutto questo disfacimento rimaneva sempre vivo il linguaggio, che coniava e introduceva neologismi di ogni tipo, sempre capaci di restituire l’evoluzione della realtà e, soprattutto, del modo di percepirla. Nell’ultimo film di Caligari, oltre alla messa in scena della vita caotica, violenta e ‘feroce’ dei protagonisti, c’è spazio anche per una certa quota di comicità, dovuta proprio a un’eccedenza dello slang, ancora libera di creare, in determinate situazioni, un contrappunto umoristico notevole. Ma, ormai, è tutto troppo fragile per sostenere l’ondata colonizzatrice, non c’è più posto per i cristi morenti, il tempo del lavoro e del consumo ha assorbito tutta la forza creativa di una fazione antagonista. Ed ecco che Vittorio tenta di ‘cambiare vita’, di andare a lavorare (a fare il manovale), di mettere su famiglia, cercando di coinvolgere anche il suo amico Cesare, che, pur provando a seguire le orme del compagno, è irresistibilmente attirato dal richiamo della strada, con tutte le conseguenze nefaste che tale scelta può comportare.

L’epilogo è amaro, amarissimo. I Vittorio e Cesare di Accattone e Amore Tossico morivano, irrimediabilmente disadattati, mentre qui si conclude con una nascita. Un nuovo tipo antropologico è alle porte, ma non presagisce nulla di buono. Non c’è più ‘la ripetizione dei padri’, bensì si prosegue in una direzione di totale imbarbarimento. L’uomo di domani sarà protagonista di un’epoca tragicomica, in cui il progresso è percepito come ridicolo, perché tutti i prodotti di consumo sono destinati a diventare rifiuti in tempi brevissimi. La difficoltà di adattamento alla realtà, con tutti i suoi risvolti drammatici, viene sostituita dalla fluidità di una virtualità che non contempla attriti. Forse è questa la sfida di domani: riuscire, in questo nuovo contesto smaterializzato, a riprodurre un’inedita zona di scontro e frizione, di resistenza.

Non essere cattivo, incomprensibilmente fuori concorso alla Mostra di Venezia, è un film che porta avanti una riflessione di una contemporaneità assoluta, laddove ci invita a pensare i processi di soggettivazione di domani. Un’opera, dunque, nuovamente necessaria, con cui il regista di Arona chiude egregiamente la sua carriera e si dimette, proprio in extremis, da una vita artistica faticosa che l’ha visto premiare troppe poche volte.

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