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Venezia 72: In Jackson Heights di Frederick Wiseman (Fuori Concorso)

Il documentarismo del ‘potente’ e ‘minimalista’ Frederick Wiseman assorbe con In Jackson Heights (presentato Fuori Concorso) la straordinaria ed affascinante anomalia di uno dei 5 quartieri di New York City dove il multiculturalismo ha prodotto e germogliato un esempio di integrazione unico al mondo

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Il documentarismo del ‘potente’ e ‘minimalista’ Frederick Wiseman assorbe con In Jackson Heights (presentato Fuori Concorso) la straordinaria ed affascinante anomalia di uno dei 5 quartieri di New York City dove il multiculturalismo ha prodotto e germogliato un esempio di integrazione unico al mondo. Più di 100 nazioni diverse, con la propria lingua, cultura, storia ed evoluzione sociale… A Jackson Heights il tempo ha sedimentato il modello di un mondo possibile: arabi, ebrei, italiani, sudamericani, pakistani, cinesi, bengalesi regolarizzati, non regolari, con ‘visti provvisori’ vivono portando avanti le rispettive tradizioni e una immersione sempre più ampia (attraverso l’informazione e la conquista dei propri diritti e le lotte contro lo sfruttamento) nella dimensione di cittadini americani. Frederick Wiseman entra nella quotidianità del quartiere e della sua incredibile vitalità: in primis commerciale. Un animatissimo intricato di chioschetti ed esercizi più svariati che illuminano realmente i talenti e le identità di chi ci vive: dalla visagista indiana e il suo incredibile filo di cotone, al negozio di pollo vivo, alla lavanderia automatica dove la gente in attesa allestisce musica che unisce e allieta la durata del lavaggio, ai miriadi di buchi (piccoli o grandi che siano) dove ogni necessità (per tutte le identità) viene appagata. E poi sociale: l’istruzione religiosa dei piccoli arabi, la sinagoga centro di aggregazione anche della comunità omosessuale nel discutere le proprie esperienze identitarie…Gruppi di preghiera cattolici che puliscono le zone del quartiere, e a cui una passante chiede di unirsi a lei nel pregare per la madre malata di cancro, prossima a morire… Tanta, tanta partecipazione: l’associazionismo è un collante straordinario, la chiave di volta che ha permesso sia ad ogni singola comunità che a tutti gli abitanti di sentirsi insieme, di poter gestire se stessi e il luogo che li contiene, il rapporto con le persone, sempre nel meccanismo di parte e tutto.

La macchina da presa attraversa volti, corpi, luoghi, oggetti, pezzi di un “suburbanesimo metropolitano” simile ad un sottobosco pieno di sorprese. Rimane fissa ad ascoltare insieme a noi le storie che i latini americani raccontano nel gruppo che li informa e li tutela. E Wiseman è capace di incarnare la vita nuda e cruda, di far comprendere cosa vuol dire attraversare il confine con il Messico, perdersi nel deserto, stare 15 giorni senza acqua né cibo, essere sfruttati dai datori di lavoro e costretti a turni massacranti per poche lire…Di mostrarci con felice meraviglia come si tiene un corso gratuito per gli stranieri del quartiere che vogliono ottenere la licenza per un taxi, nelle fantastiche e simpatiche lezioni-metafore che ascoltiamo, attinte dalle diverse usanze dei multiculturali partecipanti. Sono i protagonisti carichi di una umanità senza filtri, né mediazioni a buttarci dentro il loro mondo, sono i volontari delle associazioni che ci fanno comprendere come un punto di riferimento, un luogo fisico in cui le persone si confrontano ed interagiscono fa rendere le stesse persone più consapevoli della loro condizione e dà forza nell’unità che serve per sopravvivere e vivere in una nazione a cui non appartengono dalla nascita. La comunità LGBT convive come una identità ben definita ed integrata, con naturalmente i problemi non semplici da affrontare. Ma ci sono, sono parte di essa. La famosa parata LGBT (nata dall’uccisione di un omosessuale nel quartiere quasi venti anni fa e a cui ha anche partecipato per la prima volta il nuovo sindaco di New York) così tranquilla e pacifica riempie di semplicità, allegria e bellezza un esserci diversificato che fa bene tanto ai nostri occhi, specie in un momento storico dove la diversità in tutti i suoi aspetti (sessuali, etnici, religiosi) è diventata una specie di demone che produce solo terrore e morte.

9 settimane di riprese e 10 mesi di editing hanno dato vita a più di tre ore di flusso visivo infinito…come la vita, con la luce mai spenta anche sul futuro di un piccolo miracolo sociale preso di mira da una speculazione immobiliare sempre più selvaggia e cinica che rischia seriamente di far spegnere Jackson Heights. Ma la comunità del quartiere non sta certo con le mani in mano…speriamo sia più forte del capitale.

Maria Cera

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